Definitemi il concetto di punk. Sembra facile. In realtà è una faccenda complicata, come del resto anche definire cosa sia o non sia rock. Certo, se ci dovessimo attenere semplicemente alla musica, per quanto sia materia liquida, non esattamente circoscritta dentro spazi recintati, qualcosa si potrebbe anche azzardare. Un genere che muovendosi nella macroarea del rock propone una musica ulteriormente ruvida, imperfetta, sghemba, suonata in maniera grezza, spesso con testi che risultano ostili a un’idea omologata di società. Del resto la parola punk, è noto, veniva da qualcosa di simile a “monnezza”, in gergo inglese, quindi imperfezione e marginalità sociale era in qualche modo cifra distintiva del tutto. Però poi uno pensa ai Clash di Sandinista e la cosa diventa un po’ meno aderente, o agli Stranglers, figuriamoci. Per non dire di quando alla parola punk si appoggiano altre parole, come hardcore, dove comunque può capitare, penso ai miei amati Hüsker Dü, che a fianco a un furore distorto e anche rumoroso si affianchi una capacità di costruire melodie quelle sì perfette, a riprova che si può essere ruvidi e angelici allo stesso tempo.
Ma io sono nato nel 1969, quindi mi viene facile pensare a quel punk lì, volendo anche a un altro genere che al punk era affine, il post-punk. Certo, quello delle origini, dei primi anni Settanta, l’ho ovviamente conosciuto recuperandolo, ma era negli anni dell’hardcore che mi sono formato, che in qualche modo c’ero. Poi di punk ce n’è stato un altro, penso al periodo dei Green Day, dei Blink 182, degli Offspring, qualcosa di meno radicale, almeno ai miei orecchi, assai più inserito dentro il sistema, o quantomeno il mercato, sempre che si voglia lasciare una figura come quella di Malcolm McLaren fuori dal discorso, più omologato. Evito di parlare dell’oggi, sono un uomo di mezza età, e solo perché la vita media si è allungata parecchia, altrimenti sarei quasi un pensionato, quindi risulterei più che un boomer nostalgico una sorta di vecchio inacidito. Penso questo, suppergiù, sicuramente con meno parole, mentre chiacchiero con un tipo, un blogger, che mi ha appena detto “Qui non conosco nessuno, sono abituato a altri contesti, ai centri sociali”. Siamo al release party di Wanted nuovissimo e quarto album Bambole di Pezza, il secondo da che sono rinate, dopo Dirty uscito nel 2023. La band punk milanese, capeggiata dalla statuaria Cleo e costruita sulle solide basi delle due chitarriste Morgana e Dani, le sole due reduci dalla precedente esperienza, Kaj al basso e Xina alla batteria a fronteggiare il ritmo, anche loro entrate in questa nuova vita del gruppo. Siamo in una zona periferica di Milano, al Distretto 14 Club, e non sono neanche sicurissimo che di Milano si tratti, a due passi c’è Corvetto, sì, e Santa Giulia, area nella quale stanno sorgendo nuove strutture colossali (nel senso di simili al Colosseo) in vista delle Olimpiadi invernali che vedrà il capoluogo lombardo gemellato con Cortina, il mondo è un posto strano, ma c’è anche, credo, San Donato e San Giuliano, la nebbia mi impedisce di vedere bene e di capire. Il locale è gremito di persone, alcune che conosco, parlo di conoscere di persone, altre che mi che, come in quella famosa scena di Il diavolo veste Prada dove l’assistente della perfida Miranda le dice a uno orecchio chi sta per incrociare, così che lei possa salutare con un minimo di avvedutezza, me li indica mia figlia Lucia, con me qui a festeggiare l’uscita di questa nuova opera. Arrivando abbiamo incrociato Giorgieness, che è anche titolare di uno dei featuring di Wanted, gli altri sono Jack Out, Divi dei Ministri, J Ax, nella già edita Cresciuti male, e Mille. Anche Jack Out si aggira per la sala, come del resto Pedro dei Finley, Garrincha de Le Vibrazioni, Nikki di Radio DJ e altri volti che magari non associo immediatamente a un nome e cognome e neanche a un nome d’arte, ma so che sono parte di una scena.
Una scena, poi ci arrivo. Il nostro problema, mio e di mia figlia, è che siamo arrivati qui verso le nove e mezzo, l’orario di inizio del release party era le ventuno, ma ovviamente un release party ha il suo cuore verso la mezzanotte, quando il disco sarà, per dirla con la discografia di oggi, “fuori ovunque”. Arrivare così presto, la sala si è riempita come un uovo col passare dei minuti, attesta come noi si sia assolutamente poco avvezzi a andare a release party, e come il fatto che noi si sia qui sia quindi in qualche modo un evento nell’evento. Il fatto è, e arriviamo a questo anomalo incipit, sempre che si possa definire anomalo un mio incipit nel quale parlo di musica laddove solitamente io parlo di tutt’altro, il fatto è che io ho una grande stima per le Bambole di Pezza, stima musicale, si parte sempre da lì, e stima umana. Perché riconosco nella vecchia guardia della band, Morgana e Dani, un talento per suonare e stare sul palco che le dovrebbe far annoverare tra le nostre rockettare più riconosciute, oltre che più cool, e anche per la nuova front woman, Cleo, vera forza della natura che si è presa in qualche modo il progetto sulle spalle e ci ha passato su una bella mano di smalto. La sezione ritmica, poi, è lì a dare la carica con precisione e altrettanta coolness, che io sia amico di Kaj, che sarebbe anche Dada Sutra, in un’altra vita e un’altra carriera, è credo cosa risaputa. Le Bambole di Pezza, un po’ come i già citati Finley, è una realtà italiana che credo andrebbe assolutamente rivalutata. Perché il loro apparire così glamour, nella copertina di Wanted le cinque appaino vestite da sexy cow-girl, a volte distrae, anzi, spesso distrae. Nel senso che l’occhio vuole la sua parte, lo dice anche il motto popolare, ma qui oltre l’occhio è anche l’orecchio a essere appagato, con un punk, in quell’idea di punk che flirta col pop-rock. Del resto i nostri precursori, parlo del punk punk, erano e sono artisti che qualcuno più radicale potrebbe anche oggi faticare a riconoscere come tale, parlo ovviamente di Enrico Ruggeri, il nostro Elvis Costello, qui lo dico e lo ripeto, e di Maurizio Arcieri dei Krisma. Lo so, sto continuando a mettere le mani avanti, nel senso, sto continuando a fare distinguo come se il parlare delle Bambole di Pezza come una band punk prevedesse appunto che io dovessi in qualche modo star qui a specificare che sono brave, che sono simpatiche, che sono credibili. Questo, suppongo, è in parte figlio di un pregiudizio, magari anche mio, che comunque sono qui, e soprattutto di un pubblico che segue il genere, gente che magari come me è stato seguace dell’hardcore anni Ottanta, o addirittura del punk delle origini, o forse solo di quello più virato al pop successivo, ma prevalentemente eseguito da maschietti, e in parte del fatto che mescolare punk e pop, sulla carta, sembra un esperimento anomalo, perché il punk era nato come reazione a quello che stava sul mercato, mentre il pop è per sua natura proprio quello che sta sul mercato. In realtà, ci tengo a precisarlo, queste sono tutte pippe mentali, né più né meno, perché, lo sapevo già ai tempi, quando alternavo sul mio stereo le canzoni di Grant Hart e Bob Mould, come quelle dei Fugazi o dei Black Flag, a quelle del rap che ai tempi in Italia era ancora roba di ultranicchia, come a quella di cantautori vari, anche quelli meno impegnati come Baglioni, la musica è musica, e star lì a costruire steccati è quanto di meno musicale si possa concepire. Wanted, quarto album delle Bambole di pezza, oggi in una formazione rinata che ha davvero in Cleo una grande frontwoman, carismatica come particolarmente sul pezzo, è un gran bel disco, e lo spirito che aleggia è quello giusto per questi tempi, incazzato verso le storture che ci attanagliano, disincantato verso un futuro migliore, certo, ma al tempo stesso intriso di woman empowerment fino all’osso, sentite la canzone con Giorgieness per credere, a tratti anche romantico, e per quello la presenza di Mille è d’aiuto, comunque sempre molto a fuoco. Un album energico, poco attento al politicamente corretto, quindi punk, ma anche orecchiabile, quindi decisamente pop. Un connubio sulla carta instabile, che però come certi numeri degli equilibristi, per miracolo è lì, a tenerci con gli occhi puntati verso quel tizio sul filo che cammina e non cade, anzi, incanta.
Incanta al punto da avermi spinto da starmene un giovedì sera, i release party si fanno di giovedì perché i dischi escono alla mezzanotte, quando è ormai venerdì, è prassi, in una zona a metà strada tra Milano e l’hinterland, la nebbia fuori, qualche volto amico intorno, la più parte a me sconosciuti (mia figlia mi ha indicato gli Arcade Boyx, Keyralicious, Jacopo Sarno, un tizio che stava nei Pantellas e che ha fatto una canzone che mi ha spiegato per filo e per segno cosa si intende quando si dice “cringe”, oltre a gente come i già citati Garrincha, Jack Out, Pedro dei Finley, cui vanno aggiunti Simone Bertolotti, produttore e direttore d’orchestra e anche PNK, ex leader dei Ros visti a X Factor, e attualmente fuori con la sua musica da solista). Il tutto in uno scenario vagamente industriale, così è apparso ai miei occhi il Distretto 14 Club, loro, le Bambole di Pezza invece una versione sexy e anche piuttosto sopra le righe di cowgirl, come nel fumetto che ci è stato dato in dono, Dirty Bandidas il titolo. Di Bambola di Pezza ne mancava all’appello una, Kaj, aka Dada Sutra, indisposta, ma le altre quattro hanno fatto per mille. Per la cronaca, ma immagino mi capirete, non ho retto fino alla fine, a causa della mia poca esperienza la via di casa mi ha visto quando ancora la mezzanotte non era scoccata, come Cenerentola sulla zucca trasformata in una carrozza guidata dai topini parlanti. Wanted ora è lì a disposizione, pronto all’ascolto. Uscito nello stesso giorno, vado un momento fuori tema, nel quale ha visto la luce dopo otto anni un nuovo album di Angela Baraldi, titolo 3021. Un altro album prezioso, lontanissimo per sonorità e genere da quello delle Bambole di pezza, ma altrettanto femmineo e sicuramente destinato a entrare nella mia top 5 degli album dell’anno, lo dico già adesso che è gennaio. Essere donne nello show business italiano deve essere davvero dura, sempre lì a dimostrare di essere valide, molto più di quanto non si richieda agli uomini, ma a prestare attenzione è più che chiaro che di grandi artiste in circolazione ce ne sono. Del resto la parola musica, come la parola canzone, è una parola declinata al femminile, non era difficile capirlo anche solo a guardare un dizionario.