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Skam Italia è il Dawson Creek
della generazione Z?

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

20 maggio 2020

Skam Italia è il Dawson Creek della generazione Z?
Perché stai perdendo tempo su Netflix con un altro teen drama in stile bimbominkia? Perché in Skam Italia, versione nostrana della webserie made in Norvegia, c'è tutta quella roba che riesce a far coesistere Elettra Lamborghini, Stefano Benni e interrogazioni di greco. Cioè l'adolescenza

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Quando inizi a guardare Skam Italia un po’ ti domandi perché stai perdendo tempo con un altro teen drama in stile bimbominkia. Dopo i suicidi per ripicca di Tredici (che a giugno uscirà con una quarta stagione di cui non avevamo proprio bisogno) e gli amori estivi di Summertime, la quarta stagione di Skam Italia arriva su Netflix pronta per essere presa d’assalto dai ragazzini. Perché effettivamente Skam è il teen drama per eccellenza: parla di adolescenti agli adolescenti con uno stile pulito, semplice, intuitivo. Rende stoiche le piccole sfide del Liceo, con il melodramma tipico dei sedicenni incazzati, e racconta gli stereotipi di questa generazione. Più teen di così?

Skam Italia

Un po’ Dawson Creek un po’ The O.C.

Ognuno di noi ha avuto il proprio teen drama (e i nostri erano peggio di questo). In questa trappola ci siamo finiti tutti almeno una volta è inutile negarlo. Le serie tv che puntato a questa fascia di età funzionano alla grande, da sempre. Beverly Hills 90210 ha fatto scuola negli anni Novanta e dopo i drammi di Brendon, Brenda e tutta l’allegra combriccola, ogni generazione ha avuto la sua dose di tradimenti, tragedie e colpi di scena.

Sulla fine degli anni Novanta è arrivato Dawson Creek, con la tenerezza dell’adolescenza raccontata da un pontile e i top corti di Katie Holmes. E quando "I don't wanna wait" ha smesso di suonare nelle case di praticamente tutto il mondo è subito iniziato l’indimenticato “Californiaaaaaa” di The O.C.

Non è passato poi chissà quanto tempo da quando scaraventavo a terra il mio eastpak strapieno di libri per correre ad accendere la Tv e guardarmi le nuove puntate di The O.C. o, meglio ancora, di Gossip Girl. Per la mia generazione le "vite scandalose dell'élite di Manhattan" un po’ assomigliavano a quelle del nostro sfigatissimo Liceo e ogni cosa successa a Serena van der Woodsen un po’ succedeva anche a te.

Skam è quello di cui gli adolescenti di oggi hanno bisogno. Sono i loro drammi: il revenge porn, il razzismo sottile e denigrante, la scoperta di una sessualità per cui non si è pronti, ma anche i litigi più crudi, gli amori che finiscono e quelli che iniziano. È la somma dei teen drama del nostro passato e l’evoluzione di un'adolescenza che non per forza deve assomigliare alla nostra.

Skam Italia

Vedi anche

L'articolo più completo mai scritto su Summertime

Ok, ma che c***o è Skam?

C’è Wes Anderson e c’è la poesia più bella di Stefano Benni. C’è una color pazzesca e l’accento romanaccio di Ludovico Tersigni. È grezzo, soprattutto nella prima stagione, c’è il trash di Elettra Lamborghini e l’Indie dei Cani. Skam Italia assomiglia un po’ a tutto e un po’ a niente. Proprio come l'adolescenza. Lo fa partendo dalla versione norvegese a cui si è ispirata. Sì perché Skam è un franchise nato in Norvegia con una webserie talmente apprezzata da essere replicata in mezzo mondo. Esiste uno Skam USA, ambientato nel Bouldin High School di Austin, in Texas, ma esistono anche gli Skam Francia, Spagna, Olanda e pure Brasile e Cina.

La libertà è altissima, ogni webserie è indipendente da quelle degli altri paesi, e in Italia il processo creativo portato avanti dal regista Ludovico Bessegato l’ha resa un vero e proprio guazzabuglio umano. Ogni stagione ha il suo protagonista e ogni protagonista è lo stereotipo di un adolescente. I temi trattati sono tanti e mai con quell’arrogante presunzione che gli adulti tendono a riservare agli adolescenti. I loro drammi sono veri, altro che la morte di Marissa in The O.C., e questo la rende il vero specchio di una generazione complicata come la loro.

Skam Italia Stefano Benni

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