Milano, Napoli, Los Angeles: Sofia Sole è il prodotto di un melting pot di culture, ma soprattutto di un’anima che ama il caos e lo trasforma in musica. A soli 22 anni, questa cantautrice (e giornalista) non si accontenta di un'unica etichetta. La sua voce lo dimostra: jazz, blues e contemporaneità si fondono in brani che parlano di amore, delusioni e quella voglia di vivere che solo chi ha attraversato tempeste sa raccontare. Il nuovo singolo, Carillon, è un piccolo gioiello che prende spunto da una ferita personale per aprirsi in un ritornello potente, quasi liberatorio. Abbiamo parlato con lei di radici, social e quella meritocrazia che, in Italia, sembra un miraggio. Abbiamo incontrato una artista che crede nella bellezza delle emozioni, e lo dimostra ogni giorno con le sue canzoni.
Sofia, partiamo dalle tue origini: hai 22 anni, ma dove sono le tue radici?
Sono nata e cresciuta a Milano, ma ho origini un po’ più "meridionali". Mio papà è napoletano e mia mamma pugliese. Sono molto legata a queste radici: amo Napoli, ci vado spesso e sento di portare con me un pezzo di quelle culture. Ho passato anche un periodo a Los Angeles e ho frequentato scuole internazionali, quindi ho avuto la fortuna di assorbire molta cultura americana.
Milano che è sempre più una città criticata. Tu come la percepisci?
Da piccola avevo quasi il desiderio di andarmene. Poi è arrivato il Covid e ho avuto modo di riscoprirla. Ora la vivo meglio, mi piace la vita notturna, il suo disordine, che in fondo mi somiglia. Non sono una persona da campagna, amo il caos. Certo, i costi sono elevati e bisogna lavorare duro, ma tutto sommato amo la mia città.
Oltre alla musica fai altro nella vita?
Studio comunicazione e mi laureo ad aprile. Inoltre, lavoro come giornalista, scrivo per diversi magazine occupandomi di arte, design, musica e moda. La scrittura è sempre stata una parte importante della mia vita, e ho cercato di farne un lavoro.
Non è facile vivere a Milano, ma non è facile neanche far parte della Gen Z, no?
È una generazione complessa. Non penso che la mia generazione sia così libera come ci fanno credere. Ci sono tanti paletti, sia nel linguaggio che nelle opportunità. Per esempio, nel mondo musicale non è ben visto fare altro oltre alla musica, ma è difficile mantenere uno stile di vita decente facendo solo quello. Ho sempre cercato di fare il più possibile, senza guardare troppo agli altri. Penso che molti della mia generazione si sentano in ritardo, come se non stessero facendo abbastanza. Questo ci divora, ma per me la chiave è cercare ogni giorno qualcosa che ci renda felici.
Immagino che anche i social influiscano. Tu come ti rapporti con strumenti così potenti e impattanti per i giovani?
È un rapporto di amore e odio. Mi piace condividere diversi lati di me, ma a volte mi sento insicura. Pubblico qualcosa, poi cambio idea, magari lo elimino. È difficile trovare un equilibrio, soprattutto quando si cresce con l’idea di doversi sempre migliorare per piacere agli altri. Anche io ho vissuto un periodo in cui ero ossessionata dai filtri e dall’aspetto fisico. Ora cerco di essere più autentica, ma è un percorso.
Hai mai sofferto del fatto di essere giudicata più per l’aspetto che per la tua musica?
Sì, purtroppo mi è successo. Quest’estate ho ricevuto commenti molto pesanti sul mio aspetto, non sui social, ma da persone che consideravo amiche. È stato doloroso, mi ha portato a chiudermi in casa e a scrivere diverse canzoni per elaborare il tutto. Alla fine, ne ho tratto qualcosa di positivo, trasformando quel dolore in musica.
Infatti Carillon è dedicato a questa vicenda dolorosa che hai passato?
Esatto! Nasce da esperienze personali, ma non è un brano arrabbiato. È delicato, parla di elaborazione. La scrittura mi ha aiutata tantissimo a trasformare quel dolore in qualcosa di bello.
Visto che hai vissuto anche in America, quali differenze hai notato tra la scena musicale italiana e quella americana?
In America c’è più meritocrazia e speranza. Ho studiato in una scuola di musica dove si respirava un’atmosfera di grande stima reciproca. Lì ti fanno sognare e ti spronano. In Italia, purtroppo, manca un po’ di questa apertura. Anche se qui ci sono talenti incredibili, il sistema non li valorizza sempre come dovrebbe.
E quali sono i tuoi riferimenti musicali?
A livello internazionale, adoro il jazz. Chet Baker e Raye sono tra i miei preferiti. In Italia, sono cresciuta con Pino Daniele, quindi porto con me un po’ di quel blues napoletano. Ascolto anche molti artisti emergenti, che mi piacciono tantissimo. Mi piace mescolare influenze classiche con suoni più contemporanei.
Se potessi realizzare da subito un sogno, con quale artista vorresti collaborare?
In Italia, mi piacerebbe lavorare con un rapper come Noyz Narcos o Gemitaiz. A livello internazionale, Raye sarebbe il mio sogno. Non sono traguardi irraggiungibili, quindi chissà!