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State of the nation
di Nicola Savino e Bassi Maestro
è la boomerata perfetta per capire
gli anni '80 (e dove nasce la trap?)

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

7 agosto 2023

State of the nation di Nicola Savino e Bassi Maestro è la boomerata perfetta per capire gli anni '80 (e dove nasce la trap?)
Buona la prima per “State of the nation”. L'episodio del programma di Nicola Savino e Bassi Maestro, in onda su Radio Deejay, non è stato solo la festa della nostalgia. Tanti stimoli, fra rapidi mash-up e i ricordi di un’epoca in cui il dramma di non essere accettato, in quanto gay, poteva essere incapsulato in una megahit e relativo video (“Smalltown boy” dei Bronski Beat). Poi spunta Jovanotti, in diretta telefonica: “Gimme five, in Italia, ha fatto da ponte fra la Italo disco e il rap”. Un’ora di musica spigliata, ma anche filologica. Bassi: “La mia base per “Mi hai capito o no?” di Gué nasce da Hall & Oates...”

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Il primo episodio di “State of the nation”, in onda da ieri sera alle 21 su Radio Deejay, può forse essere una delle migliori risposte all’annosa domanda di Raf: cosa resterà degli anni ’80? Di quel decennio alcune sfumature si sono inevitabilmente perse, ma il programma di Nicola Savino in versione “direttore d’orchestra” e Bassi Maestro in versione “archivista/curatore” si è presentato come una bombetta estiva di estrema precisione. Un colpo simile, però, non distrugge ma edifica. “Ammettiamolo, siamo un po’ dei nerd. Dei boomer, potremmo dire”, afferma Savino, con la solita autoironia ma senza forse crederci neppure troppo, quando ricorda che lui e Bassi si sono incontrati alla fiera del disco di Novegro. Savino sa, però, che è dura parlare di boomerismo quando a fianco siede “uno dei padri dell’hip hop italiano” e il produttore di “Madreperla” di Gué.

“State of the nation” con Nicola Savino e Bassi Maestro
“State of the nation” con Nicola Savino e Bassi Maestro

E infatti il format di “State of the nation” non tradisce alcuna pedanteria e, in pieno stile Deejay, mantiene sempre alto il tono frizzante, mai paternalistico. Poi è evidente: fuori da uno studio radiofonico, Savino e Bassi potrebbero divagare felici ricordando “i bei tempi andati”, ma davanti a un microfono si dimostrano, a loro modo, rigorosi. E se la partenza è seria perché si parla di “Smalltown boy” dei Bronski Beat, canzone e video drammatici che però ebbero enorme fortuna commerciale, con i primi stacchetti e i primi mash-up si entra in un clima giocoso e festaiolo. Gli anni ’80, per quanto ampiamente antologizzati, citati e documentati, restano un decennio ricchissimo di spunti e fascinosamente contraddittorio. Ok il “fun fun fun”, ma il pezzo di Jimmy Somerville sopra menzionato, per dire, parlava apertamente del dramma di essere gay in una intransigente provincia inglese. Lustrini e spalline imbottite, qui, c’entrano nulla. Eppure il piglio degli anni ’80 era spesso sfrontato, divertito, ottimista. Gli Industry, che con la loro “State of the nation” danno il titolo al programma, fanno rimare “lo stato della nazione” con “non preoccuparti della situazione”. Boy George? Era una provocazione vivente, ma quello è stato il suo decennio. Così Bassi confeziona un bel mash-up targato Culture Club e poi – di nuovo una bella contraddizione – manda in onda una “Do you really want to hurt me?” che, in pieno strapotere synth, era una preziosa “reggae nugget” ben agganciata alla tradizione.

Boy George
Boy George

Poi è il turno di “I can’t go for that (no can do)” di Hall & Oates e di ciò che ha messo in moto. Il suo beat iniziale ispirò “Billie Jean” di Michael Jackson, poi Ron ne fece una cover e i De La Soul la saccheggiarono, a fine anni ’80, per “Say no go”. Oggi, decenni dopo, Bassi Maestro la sceglie per il ritmo di “Mi hai capito o no?”, pezzo di Gué contenuto nell’ultimo “Madreperla”, album interamente prodotto dal “boffin” milanese. Una breve pausa. Poi Falco (“Der Kommissar”) e quindi “Need you tonight” degli INXS. Il pezzo degli australiani introduce l’intervento telefonico di Lorenzo Cherubini, che per una decina di minuti circa ci riporta ai tempi in cui era solo Jovanotti. Nei suoi racconti riemerge l’hip hop: “Public Enemy e Run-DMC, allora, erano assolutamente indigesti per le radio, ma ci credevo. L’hip hop anni ’80 è stato un big bang per la mia anima”. Torna anche il ricordo di quel ragazzo esuberante e naif che al sabato pomeriggio, al Rolling Stone di Milano, registrava “1 2 3 Jovanotti”. E di come il campionatore Akai S900 caratterizzò il suono di centinaia di dischi dell’epoca. Alla fine spunta “Gimme five”, mai seppellita perché sarebbe antistorico seppellirla: “Fu il ponte fra la Italo disco e il rap, qui da noi”. E così “State of the nation”, fra frizzi, lazzi e consapevoli nerd-ismi, fa un po’ di storia, flirta con la nostalgia sana e, in virtù di un’andatura sempre sostenuta, azzarda una scommessa quasi impossibile: riassumere le fragranze di un decennio in una sola oretta (ma il programma ci terrà ancora compagnia tutte le domeniche di agosto). Così quando guardi l’orologio e vedi che sono le 22, ti accorgi che il party è già finito ma che in quei sessanta minuti la coppia Savino-Bassi ci ha strizzato dentro di tutto: Depeche Mode, Gary Low, Huey Lewis & The News, la Def Jam di Rick Rubin. Beh, a due boomer mica tanto boomer non si poteva chiedere una sintesi più lucida e divertente.

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