Parlare con Valerio Massimo Manfredi è come parlare con la storia. Il suo curriculum è lampante e non lascia spazio a interpretazioni, così come quando si ha a che fare direttamente con lui, non utilizza retorica o riempitivi. Infatti, ci tiene a precisare: “Non sono un tuttologo”. In un’epoca in cui tutti intervengono su tutto, lui preferisce sottolineare: “Se non sono preparato su qualcosa lo dico, oppure rimando ad altri esperti”. Abbastanza incredibile, vista la sua cultura che spazia attraverso diversi campi del sapere. Archeologo e scrittore, dopo essersi laureato in lettere classiche all'Università di Bologna è entrato nel mondo dell'archeologia, specializzandosi in topografia del mondo antico all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ha insegnato nella stessa Università Cattolica dal 1980 all'86 per poi iniziare una intensa carriera accademica prima all'Università di Venezia (1987) e dopo presso prestigiose università americane fino alla Loyola University of Chicago, all'Ecole Pratique des Hautes Etudes della Sorbona di Parigi e alla Bocconi di Milano. Tra gli anni Settanta e gli Ottanta ha progettato e condotto le spedizioni Anabasi per la ricostruzione sul campo dell'itinerario della ritirata dei Diecimila, ma sono numerose le sue partecipazioni a campagne di scavo, come Lavinium, Forum Gallorum, Forte Urbano in Italia.
Prestigiose quelle condotte all’estero come ad Har Karkom, in Israele e la Campagna di ricognizione e rilievo con Timothy Mitford sul sito del “Trofeo dei Diecimila” in Anatolia orientale. Ha tenuto, inoltre, conferenze e seminari in alcuni dei più prestigiosi atenei del mondo, ma il successo è arrivato grazie alla scrittura, con la pubblicazione di una serie sterminata di articoli e saggi e soprattutto romanzi di grande successo, tradotti in moltissime lingue, che lo hanno portato a vendere la bellezza di 12 milioni di copie. Per non lasciarsi mancare nulla, ha condotto anche fortunati programmi tv, tra i quali “Stargate - linea di confine” e “Impero”.
Lo abbiamo intervistato al Mystfest di Cattolica (Rimini), il Festival Internazionale del Giallo e del Mistero, a margine dell’incontro in cui era ospite per l’inaugurazione di una mostra sui 500 anni di Raffaello. È qui che, oltre a parlarci della sua attività, ha commentato in modo molto critico il mondo della cultura e delle arti in questo periodo post lockdown per un vizio antico, cioè quello di lamentarsi, di sentirsi trascurati e di chiedere aiuto allo Stato: “Lo trovo ridicolo, io non certo supporto da nessuno, ma di fare sempre del mio meglio”.
Partiamo da Raffaello, con la mostra che è stato inaugurata a Cattolica che mette in evidenza i dettagli delle sue più importanti opere. Anche lei prese spunto dall’artista di Urbino.
Ho scritto un racconto, che fa parte di un libro che si intitola Le indagini del colonnello Reggiani, il primo di questi si intitola La Muta. Il protagonista ha ben presente che preservando i nostri tesori si preserva anche una parte importante della nostra storia a chi verrà dopo. Per questo motivo Reggiani, colonnello vecchio stampo, persona colta, di buon gusto, pretende il massimo impegno dai suoi uomini perché sa che dietro un dipinto di Raffaello ci sono tanti intenditori, collezionisti, mercanti d'arte con pochi scrupoli, in Italia e all'estero, disposti a borsare una grossa cifra per accaparrarsi uno di questi tesori. Per sé e per nessun altro.
Nella storia dell’umanità di certo non sono mancate le calamità e la pandemia di questo periodo sembra una di queste. Lei che idea si è fatto in merito?
È un evento come tanti altri, può essere una influenza come la peste. Siamo uomini mortali. Quando avvengono mietono le loro vittime. Io sono stato in casa e fortunatamente avevo intorno a me un parco abbastanza grande e non mi sentivo in prigione. Ho usato quel tempo per mettere a posto la mia biblioteca, per concludere il mio ultimo romanzo e ho studiato. Insomma, non ho buttato via il tempo. Della peste non se ne occupano gli archeologi, ma gli scienziati che infatti sono impegnati in un vaccino. Staranno lavorando con il fiato sul collo e speriamo che ci riescano a trovarlo presto.
Crede che lascerà degli strascichi sulla nostra società?
Se la peste devasta intere famiglie, chi è in questa situazione ne risente. Ci sono delle conseguenze, certo. Ma la Spagnola uccise 500 milioni di persone. Questo Coronavirus è molto più mite, infatti in tanti si sono salvati. L’economia è disastrata, ma non solo a causa del lockdown. Già da prima, non abbiamo assolutamente possibilità di recuperare rispetto al nostro debito pubblico che è spaventoso e i governi precedenti senza il minimo senso di responsabilità hanno continuato a dilatarlo e a gonfiarlo scaricando tutto sui nostri figli e nipoti. Il problema dell’Italia è tutto lì. Dio li fulmini!
Nel mondo della cultura e dell’arte sono in tanti a sentirsi trascurati dalle istituzioni. Lei è uno di questi?
Perché dovrei sentirmi trascurato dalle istituzioni? Io non mi sento minimamente così. Ha mai trovato un italiano che non si lamenta? Io mai in vita mia. È stucchevole questo atteggiamento, lo trovo completamente inutile. “Mi trascurano” continuano a ripetere, ma tu chi sei per non essere trascurato? Mi sembrano un po’ quelle fidanzate lamentose che si dicono, appunto, trascurate.
Mi ricorda Carmelo bene, quando disse che da artista voleva essere trascurato, arrivando persino a chiedere l’abolizione del Ministero della cultura.
Mio padre mi ha sempre detto “arrangiati”, fattele tu le cose e non aspettare che arrivi chissà chi a darti una mano. E in questo modo me la sono sempre cavata. Che vadano a quel paese quelli che si lamentano. Se stiamo male paghiamo una ottima sanità, se hai un incidente c’è qualcuno che ti viene a prendere e ti porta in ospedale provvedendo a tutto il necessario. Non mi pare avvenga lo stesso negli Stati Uniti, dove se non hai l’assicurazione ti lasciano in mezzo a una strada. Le cose essenziali le abbiamo e sono ottime, stare lì ad aspettare che caschi qualcosa dal cielo mi sembra assurdo. Io non voglio supporti da nessuno, cerco solo di fare del mio meglio. Diverso il discorso se parliamo delle opere d’arte e del nostro patrimonio artistico, che è immane. Quello deve essere tutelato, curato, deve avere una manutenzione costante perché è un tesoro inimmaginabile.
Se un giorno le proponessero il ministero della cultura, accetterebbe?
Non so se sarebbe il mio mestiere. Quando mi è stato chiesto di assumere delle responsabilità, per quello che potevo fare l’ho fatto. Ma non sono uno che sgomita. Se c’è la possibilità di dare una mano ben volentieri, sono nato in Italia e voglio bene al mio paese, ma non cerco questo tipo di incarichi. E ripeto, non mi sono mai sognato che lo Stato risolva i miei problemi. Quando ci sono stati i terremoti, ho fatto tutto quello che potevo, lavorando di giorno e notte e arrivando a cadere a terra per la fatica, ma non ho mai chiesto niente a nessuno. Perché dovrei chiedere allo Stato quello che riesco a fare benissimo da solo? Ho sentito anche che oggi gli italiani riscoprono l’Italia per le vacanze. Meno male, perché abbiamo una enorme capacità di scelta di posti uno più bello dell’altro. Ma prima dovrebbero abituarsi a capire quello che vedono, a studiarlo, e quindi ad apprezzarlo.
Ho notato che non ha i social. Non lo ritiene un mezzo utile per divulgare la sua attività?
Ho una quantità di persone che conosco e con le quali sono in contatto, ci vediamo, lavoriamo insieme, non ho bisogno di quelle cose. Se mi interessa qualcosa so dove cercarla. Per le informazioni, ho una biblioteca di 20mila volumi. Se ho bisogno di approfondire so dove andare. Se ci sono delle cose che la tecnologia mi può dare le prendo volentieri, ma non mi metto lì con della gente che non ha un tubo da fare e sta sui social tutto il giorno. Non saprei cosa farmene di questi dialoghi. Io purtroppo non ho il tempo per stare dietro alle domande, alle risposte, alle polemiche. So che sembra una cosa assurda, ma io lavoro tutto il giorno.
Mi ha già chiarito che lei non interviene su tutto. Eppure, tra social, tv e altri mezzi di comunicazione, anche suoi colleghi intervengono su qualsiasi argomento. Non da ultimo il Coronavirus. Come se lo spiega?
Non è possibile sapere tutto! Credo di conoscere parecchie cose, perché studio studio studio. Non capisco quei personaggi, anche miei colleghi, che vanno ovunque e si fanno intervistare parlando di qualsiasi argomento. Si vede che hanno molta stima di sé stessi. Penseranno di essere delle autorità, dei luminari. Io non so tutto, ma alcune cose sì e in maniera abbastanza seria e se mi chiedono una certa cosa gli chiederò se hanno contattato l’uomo adatto, oppure li rimanderò a qualcun altro.
I suoi libri hanno venduto più di 12 milioni di copie tradotte in tutto il mondo e le sue trasmissioni di divulgazione storica sono state tra le più seguite. Che rapporto ha con il successo?
Non mi sono mai posto il problema di avere successo. Se faccio una cosa cerco di farla al meglio che mi è possibile. E se c’è un talento di esprimerlo. Se poi il pubblico risponde in una certa maniera, evidentemente è gradito quello che io ho porto avanti con i miei studi. Nessuno si lamenta, in questi casi. Conosco gente che per vendere una copia in più venderebbero la madre. Io non sono di quel genere. Cerco di dare il massimo e credo che quello che ho fatto sia venuto bene e di conseguenza abbia avuto una risposta dal un pubblico in vari ambiti. Forse ho azzeccato un certo tipo di interesse nella gente, tutto qui.