E pensare che proprio in quelle sale dalla metà degli anni ’80 è esposto L’origine du monde, il piccolo capolavoro di Gustave Courbet e mai prima di allora (il quadro era stato dipinto nel 1885) un pittore aveva osato rappresentare in maniera così realistica il sesso femminile, ai tempi tutt’altro che glabro, nonostante la storia dell’arte sia ricca di nudi, alcuni dei quali erotici, ammiccanti, provocatori.
Quando L’origine arrivò finalmente al Musée d’Orsay, lascito degli eredi dello psicanalista Jacques Lacan, sembrarono davvero piegate le ultime resistenze della censura. D’altra parte, Parigi è sempre stata la capitale della sessualità più libera già dagli anni ‘60, il cinema faceva passare modelli di donne emancipate e dominatrici come Brigitte Bardot e Jane Birkin, il laicismo e la libertà d’espressione, i bigotti erano invitati a trasferirsi altrove. Negli anni ’70 si impose la Body Art e tante artiste donne lavoravano con il proprio corpo nudo, un corpo contro, politico, aggressivo nei confronti del modello femminile proposto dai media e adottato dai maschi. Un secolo dopo il quadro di Courbet, le pornostar andavano in tv, in parlamento, alla Biennale di Venezia. Per non parlare della moda che scopriva centimetri di pelle, lavorava con le trasparenze fino al nude look e nelle spiagge era assolutamente normale il topless.
Oggi, anno di (s)grazia 2020, viviamo in un’epoca bacchettona, moralista, pretesca, talebana e sessuofobica che, in nome del più stucchevole politicamente corretto, censura, impone le mani sugli occhi, tarpa le ali, tranne poi massacrarsi di seghe sui siti porno, gratuiti e di libero accesso anche per i minori (provate a digitare sul motore di ricerca “giochi per bambine”, compariranno sex toys mica le Barbie).
Un paio di giorni fa una giovane donna orientale di bell’aspetto, in visita al Musée d’Orsay, è stata fermata all’ingresso da solerti guardiane (donne pure loro): non aveva la mascherina? Aveva la febbre? Non si voleva detergere le mani? Niente di tutto ciò, semplicemente la ragazza si era presentata con un abito scollato, come se ne usano tanti nella calda estate, che lasciava intravedere un seno piuttosto generoso. Al museo ci si veste più decorosamente, le hanno detto, o ti copri o non entri. La giovane ha obbedito, ma dopo aver concluso la visita ha pubblicato un post sui social raccontando l’accaduto, di cui non risultano precedenti almeno in Occidente.
Notizia ripresa dalle maggiori testate, il dibattito divide le opinioni tra chi evidentemente equipara il museo a una chiesa (nonostante le numerose opere a soggetto sacro il museo non è un luogo di culto) e chi sostiene che di questo passo arriveremo presto ai diktat della Santa Inquisizione.
Mi prendo la responsabilità di ciò che sto per scrivere e se da qua in poi qualcuno mi odierà, pazienza. Evviva chi mostra il proprio bel corpo, soprattutto il seno che è un inno alla vita, alla maternità, alla sessualità. Lo avevano capito i pittori, Botticelli e Velasquez, Tiziano e Goya: oggi lasciamo decidere al personale di sorveglianza?
Altre sarebbero le cose da vietare per decenza:
- le canotte su braccia mollicce con relativo alone di sudore.
- I bermuda e i pinocchietti su gambe pelose, prevalentemente maschili
- Sandali tipo Birkenstock su piedi nudi, prevalentemente maschili, con unghie mal curate. Agli uomini andrebbe fatto obbligo, tranne che in spiaggia, l’uso della scarpa chiusa.
- Tshirt con marchi troppo vistosi, a meno che uno non sia pagato dall’azienda a scopo pubblicitario.
- Fantasmino o calzino corto che fuoriesce dal mocassino. Un’aberrazione.
- Mutandone bianco o nero reso troppo visibile da stoffe trasparenti.
- Capelli sporchi, mal curati, con evidente ricrescita o tintura dozzinale.
La regola da osservare è che da una certa età in poi è meglio coprirsi. In quanto alla giovane e bella orientale, obbligarla a chiudere il decolleté è un sopruso politico indecente, specchio di una società malata che sta tornando al Medioevo.