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Il sesso virtuale è una sbornia, il problema sono i postumi

  • di Otto De Ambrogi Otto De Ambrogi

29 agosto 2020

Il sesso virtuale è una sbornia, il problema sono i postumi
"Magicamente non mi sentivo nemmeno in colpa. Anzi, parte di una sorta di sharing economy negli anni in cui dilagavano Airbnb e tutte le altre forme di sostentamento che arrivavano dall’America e si sarebbero poi trasformate in Uber e Deliveroo". Ma poi...

di Otto De Ambrogi Otto De Ambrogi

Ero in una fase di stanca dal punto di vista sessuale con la mia compagna. Il rapporto era in crisi, quindi anche il sesso era in crisi. Uno dei miei migliori amici mi torchiava, era più grande di me e lapidario: devi tradire, basta con sta cazzata della fedeltà.

Il mio senso di colpa galoppava. Amavo la mia donna ma ero giovane e avevo voglia di emozioni. Una storia clandestina era sconsigliabile, avrebbe portato solo complicazioni in eccesso. Nein. 

Andare a puttane era una soluzione, ma il degrado era a un passo. Per una puttana soddisfacente, una di quelle che ti tratta bene e non sembra abbia l’AIDS o lo scolo, ci volevano un sacco di soldi. Le puttane da strada erano aggressive, pareva avessero il cazzo. Strafatte, saltellanti sul marciapiede in perizoma, oscillavano nelle mie notti di fuga solitaria come spiriti famelici. Ne avevo paura.

Poi venne l’illuminazione: puttane online. All’epoca, primi anni del ‘10, erano gli albori delle ragazze in webcam. Siti come Ragazze in Vendita mettevano in vetrina giovani bellezze locali che si prestavano a chattare con te o videochiamarti su Skype per una masturbazione guidata. Non sembrava male. Il sito era sicuro, ti venivano venduti dei pacchetti: squirting, lei che beve la sua urina, anal etc… I costi erano veramente contenuti. A seconda dei minuti. Dieci minuti dieci euro, quindici minuti “normali” quindici euro. Venti minuti con anal + fidanzato che la incula trenta euro. Mi pareva commisurato al mio portafoglio.

Lo schermo del computer era mio amico. Non sarei dovuto andare in squallide casette di periferia, non mi sarei dovuto sorbire deodoranti vomitevoli e asciugamani con peli di cazzo altrui. 

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Magicamente non mi sentivo nemmeno in colpa. Mi sentivo anzi parte di una sorta di sharing economy negli anni in cui dilagavano Airbnb e tutte le altre forme di sostentamento che arrivavano dall’America e si sarebbero poi trasformate in Uber, Deliveroo etc. Queste non erano puttane. non si trattava di nigeriane schiavizzate o tossiche, ma di ragazze normali, studentesse, porcelle amatoriali che arrotondavano con dei ditalini in camera. Mi pareva una cosa pulita. Anche il sito era geniale. Perché non avuto io un’idea del genere? 

Così iniziai. La ricevuta di pagamento era anonima, veniva fuori una causale in spagnolo criptata e nessuno alla filiale della mia banca si sarebbe accorto di nulla. Mi feci un account Skype falso e iniziai con una prepagata. Pensavo che potessero registrarmi e ricattarmi, così decisi di non mostrarmi in volto. Mi sentivo al sicuro. Deep web per le seghe, ero un hacker. 

Con un’erezione spropositata, in una notte solitaria, cominciai a cercare quella giusta per me. Scelsi una puppona con dei bei fianchi da cavalcatrice. Nessun tatuaggio, capelli lunghi. Il volto non si vedeva e lo presi come un indice di serietà: sarà una direttrice di banca che non vuole sputtanarsi, lei non è una puttana, ma una vera porca ninfomane del sesso. Per questo godremmo assieme. 

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Sbagliatissimo. Scoprii solo dopo che quando nelle gallery delle ragazze non c’era il volto era perché il volto era brutto. La tipa avrà avuto quindici anni in più di quello che credevo e aveva la faccia tutta spostata, asimmetrica. Le mancavano diversi denti ed emanava un che di malefico e marcio. Ma non di proposito. Dopo qualche banale dialogo mi convinsi che era ritardata, ma il tempo scorreva e non la potevo psicanalizzare. Pensavo che aver pagato per dieci minuti fosse poco e al minuto numero tre avevo il cazzo in mano. Lei si era messa spaparanzata a gambe larghe su una poltrona e si masturbava con un vibratore gigante. Mi diceva porcherie che non avevo mai sentito e si faceva insultare come non avevo mai fatto. E fingeva benissimo o godeva davvero, non lo so, ma al minuto numero cinque avevo già bisogno di un kleenex. Era stato un orgasmo bellissimo, ero al settimo cielo. Due minuti da quindici euro al top. La tipa ritardata sorrideva compiaciuta. Ci son stato altre due volte con lei, poi cominciò a parlarmi del figlio (quella che usavamo noi era la stanza del ragazzo) e una volta le uscì una battuta sul fatto che alcune registrano i clienti e poi li ricattano. Da li non l’ho più chiamata.

Dopo la sdentata ce ne sono state altre. Una super puppotta siciliana grassa sensualissima, che mi diceva che lei non lo faceva con tutti, che io ero uno dei pochi prescelti; una studentessa bellissima di Milano con un corpo da paura e i capezzoli come piacciono a me; una pazzesca che aveva un vibratore che si poteva riempire di un litro di yogurt e quando io eiaculavo a casa lei strizzava le palle al dildo e si sbrodolava di colla bianca zampillante fino nei capelli. Poi altre, in tutto credo una decina per un periodo di tempo di sei mesi.

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A volte non avevo soldi e usavo la carta di credito di mio padre, innescando un circuito di sensi di colpa devastanti e al tempo stesso liberatorio. Ero infelice, con qualcuno dovevo pur prendermela.

Poi piano piano si smontò tutto, anche il giochino della sharing fregna. Mi venne a noia. Mi sentivo scemo a farmi le seghe al computer con queste che avevano connessioni pessime, spixelate. E così come è iniziata è finita anche la mia esperienza con le puttane digitali, che sebbene “pulite”, non sfruttate, 3.0, per me son sempre puttane, ma ancor meno impegnative di quelle vere.

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