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La prima volta
che ho pagato una donna
per fare sesso

  • di Otto De Ambrogi Otto De Ambrogi

  • Illustrazione di Luca Tonon

27 agosto 2020

La prima volta che ho pagato una donna per fare sesso
In occasione del Bergamo Sex continua, con questo racconto, una rubrica di sesso (molto vissuta, molto vera e in prima persona). Qui la prima esperienza con una prostituta, intesa come un passaggio nell'età adulta. Se volete segnalarci esperienze o scriverle direttamente, contattateci...

Illustrazione di Luca Tonon

di Otto De Ambrogi Otto De Ambrogi

Considerando che sono nato in una città con un alto tasso di prostituzione devo dire che sono andato abbastanza tardi con la prima puttana.

È stata una delle poche, la più bella.

La scelsi perché era grassa. Immensa. Una nera con due bocce enormi che le strabordavano dal top, in una sera d’estate col cielo fresco e i motorini che ronzavano di fronte ai kebabbari. Lei batteva sulla rotonda, vicino a un bancomat, pensate un po’ che praticità. Passai per caso di lì a piedi e lei mi apostrofò. Ciao mio amor! Era cubana e aveva un sorriso di miele, dolce come un’infermiera del mio cuore. 

Mio amor, le risposi. E poi, senza capire, dissi si.

Mi aveva agganciato con un sorriso, ma non ero pronto, avevo timore. Quindi andai oltre.

Chiamai il mio migliore amico e gli chiesi una mano. Non ce la facevo ad andarci da solo, mi serviva un po’ di coraggio e lui di prostitute se ne intendeva abbastanza. 

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Io sono ipocondriaco, quindi ho dovuto abbattere una grande barriera dentro di me. Volevo essere libero, spensierato, normale. Avevo trent’anni e non ci stava che non avevo mai fatto una esperienza del genere. 

Tornai alla rotonda col mio amico e lei era ancora lì. Mi riconobbe. Mi avvicinai e le chiesi: quanto? Cinquanta.

Non trattai, non chiesi le specialità della casa. Andai saltellando a fare il prelievo emettendo risolini scemi col mio amico che mi sfotteva. Ridevamo come pazzi, come uomini bambini felici. Nella nostra città poteva vederci chiunque, ma sapevo che non ci considerava nessuno. Eravamo solo due coglioni.

La ragazza ci scortò alla porta del suo condominio, dieci metri più in là del palo. Ci fece entrare in un disimpegno e mi bloccò. Volle che la pagassi sulle scale. Sembrava di stare comprando del fumo. Non sorrideva più ed era seria. Il mio amico era teso. Mi sentivo come gli sbirri nei film quando cadono in un imboscata. 

Salimmo le scale con lei ad aprire la fila. Aveva un culo grande come il sedile di una macchina e quando faceva i gradini le si muoveva tutto. Il mio amico rideva. Io serio.

Arrivammo alla porta. L’accordo era che ci saremmo andati tutti e due ma lui fece una mossa da maestro, mi disse: intanto vai te, poi mi dici.

Capii che non lo avrebbe mai fatto e risi del suo riso sardonico. Bastardo, dal bene che mi voleva mi aveva illuso solo per farmi coraggio.

Entrammo in un appartamento umile ma compreso di tutte le necessità. L’ingresso era una cucina. Da una porta laterale un’altra ragazza dette la buonanotte a un signore sui settantacinque anni. Io lo salutai gentilmente, col sorriso, come a condividere un momento di amicizia maschile. Lui mi guardò come si guarda un mucchio di merda e passò oltre. Il mio amico rideva trattenendosi, tutto rosso, sbuffando nelle mani. Lo salutai ed entrai in camera.

C’era una copertina sul letto e lei mi fece cenno di accomodarmi. Pensava che volessi penetrarla, ma io le dissi subito: no no, solo la bocca. Certo mio amor.

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Così provai a baciarla e lei mi scanzò. Le misi una mano in quelle tette giganti cercando di tirargliene una fuori ma capii che non voleva. Avrà avuto la sesta e una volta estratte dal corpetto che la stringeva come un salame non ci sarebbero più rientrate dentro. Mi disse: ci penso io.

Prese un preservativo e me lo mise, dicendomi di sdraiarmi. Guardai la coperta pensando a quanti peli di altri uomini e batteri ci potessero essere sopra, cercando un asciugamanino per adagiarmici sopra. Una volta trovato, mi sbottonai appena i pantaloni e mi sdraiai.

Lei si mise a farmi una fellatio molto sofisticata, in cui produceva strani schiocchi con la lingua e capivo che era una tecnica di cui si vantava. Era strano ma mi sentivo molto a mio agio, come quando vai dal parrucchiere a farti il taglio o dall’estetista per un massaggio, lo vivevo in quel modo.

Non vedevo l’ora di raccontarlo ai miei amici e mi godevo quel bel momento mentre mi resi conto che lei si distraeva e guardava la tv credendo che non me ne accorgessi. Striscia la Notizia per la precisione. Allorché le dissi: ma che fai, guardi Striscia?

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Lei non capendo bene la lingua, rispose che sì tutte le sere lo guardava. Quella incomunicabilità linguistica mi fece capire che era inutile cercare un dialogo e chiusi gli occhi. Mi sentii ancora meglio e decisi di non interrompere la sua routine mentre mi insalivava le parti intime con dei rumori idraulici da spurgo.

Alla fine mi fece alzare in piedi. Le vedevo le puppone moscissime e giganti, mulatte, e il mio cazzo che le spariva in quella bocca truccata. Aveva il naso da donna di colore proprio. E le venni in bocca con gioia. La abbracciai, lei non aveva mai smesso di sorridere o essere gentile con me. 

Andai via quasi innamorato, grato alla vita. Il mio amico mi prese per il culo per anni.

Dopo ne ho avute almeno altre due, ma nessuna è mai stata come lei. Mi rese un servizio, mi fece entrare in un mondo. Non so neanche il suo nome, come è giusto che sia e quei cinquanta euro li considero ancora oggi una piccola tassa per entrare a far parte di un periodo della mia vita adulta che era necessario per il mio futuro.

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di Otto De Ambrogi Otto De Ambrogi

Illustrazione di

Luca Tonon

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