Il 23 febbraio è arrivata a Milano la prima settimana della moda del 2021, che si susseguirà in 140 appuntamenti digitali tra sfilate e presentazioni varie. Inutile dire che a nessuno di questi appuntamenti si potrà partecipare di persona. È già tanto, anzi, che di questi eventi venga trasmessa ancora qualche diretta, visto che, nel migliore dei casi, la più seguita riscuoterà giusto una manciata di visualizzazioni. La verità, infatti, è che la moda è cambiata radicalmente e, per questo, oramai, sembra non interessarci più.
Prada, Fendi, Valentino, Armani… La fashion week italiana dell’autunno/inverno 2021/2022 ospita i nomi più importanti del panorama della moda italiano, ma se fino a qualche mese fa la digitalizzazione degli eventi era ancora in grado di generare una qualche forma di attenzione, oggi l’impressione è di essere stati, semplicemente, esclusi da un ambiente che si è definitivamente ripiegato su sé stesso. Non ci riferiamo soltanto agli aperitivi e alle feste che, solitamente, caratterizzano ogni fashion week e che riescono a trasformare un evento settoriale in un happening in grado di coinvolgere tutta la città. All’assenza di occasioni mondane ci siamo rassegnati. Il fatto è che, in un periodo in cui tutto dovrebbe puntare sull’inclusività e sul coinvolgimento, anche solo per combattere la noia, improvvisamente la moda sembra essersi votata una volta per tutte a una completa autoreferenzialità, non riuscendo più a suscitare il minimo interesse in chiunque non sia un addetto ai lavori. Insomma, la moda si è trasformata in una nicchia e questo potrebbe essere uno dei primi più evidenti cambiamenti prodotti dalla pandemia che ci apprestiamo - si spera - a lasciarci alle spalle.
Che cosa dobbiamo aspettarci da questa fashion week?
La prima settimana della moda del 2021 si apre con un tributo a Beppe Modenese, l’inventore della fashion week milanese, scomparso lo scorso novembre. Un omaggio doveroso che, tuttavia, non si presenta come il migliore degli inizi, anzi. La prima nota positiva, al contrario, sembrerebbe essere il debutto di Kim Jones alle redini creative di Fendi. Ma la notizia non suscita l’interesse desiderato nel grande pubblico e, anzi, sarà considerata solamente dagli habitué del settore, ovvero da quelli che, con la moda, ci campano.
Un anno fa, la deliberata scelta di Armani di non partecipare alla fashion week è stata accolta come un atto caritatevole e sovversivo, controcorrente rispetto alla fame di visibilità di tutti gli altri brand. Oggi mancheranno anche Versace e Gucci all’appello, orientati verso nuovi format e canali di comunicazione, lasciando spazio alle realtà emergenti e ai nuovi talenti. Ma l’assenza dalla passerella di due giganti della moda italiana non ha generato alcun boato, nessuno stupore. Nessuno se n’è, semplicemente, accorto e, i pochi che l’hanno fatto, l’hanno considerato come un gesto spocchioso e fin troppo elitario. Ma se perfino Donatella e Lallo, due figure sacrosante della moda, sembrano non godere più dell’interesse e dell’amore del pubblico, che ne sarà dei piccoli brand che debutteranno alla settimana della moda di quest’anno? Qual è il futuro in serbo per loro, in questa valle di lacrime?
Il paradosso è che la moda non ci sta tagliando fuori, anzi, si sta impegnando senza sosta per risollevarsi e creare giorno dopo giorno contenuti esclusivi, con il proposito di mantenere alto l’appeal e l’interesse della gente. Ma si tratta di contenuti che, malgrado l’energia e gli sforzi profusi in questa direzione, sembrano essere ancora troppo poco efficaci e del tutto incapaci di competere con la risonanza che una sfilata dal vivo è in grado di generare. Perché la moda, per sopravvivere, ha bisogno di fisicità, contatto con i capi e i prodotti, esposizioni, eventi: se questo non è permesso, la moda non ci riguarda più.