Riconoscibili in tutto il mondo, pur senza farsi riconoscere: era questa, negli anni 90, la scommessa di Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter. Una scommessa senza tempo, perché ancora oggi dopo quasi una trentina d’anni li stiamo venerando come due semidei extraterrestri di un universo sconosciuto, la cui identità, sebbene scritta su carta, ci avvolge sempre in un clima di mistero. In fin dei conti tutti sappiamo che ci sono due persone in carne ed ossa che si celano sotto quei caschi, ma quello che dovremmo realmente chiederci è: a che punto sarebbe la moda, oggi, senza i Daft Punk? Che ci piaccia o meno ammetterlo, il duo parigino mascherato ha influenzato stilisticamente tutto il panorama postmoderno. E senza di loro, almeno la metà degli attuali immaginari artistici non esisterebbe.
Chi mai, agli inizi degli anni 90, avrebbe avuto il coraggio di non metterci la faccia? I Daft Punk hanno fatto il primo passo in un mondo reduce dalla sfrontatezza degli anni 80, in cui tutti erano in quanto mostravano di essere, la musica circolava circoscritta negli ambienti in cui veniva etichettata, la moda esisteva esclusivamente in quanto logo. I Daft Punk hanno saputo creare il loro logo. Nascondere il proprio volto è stato un gesto sovversivo ma accurato, una mossa che prima di allora era riuscita solo allo stilista Martin Margiela, il quale aveva celato la propria identità e quella dei suoi modelli sotto una maschera. Il punto di partenza è il capovolgimento di tutto quello che siamo abituati a vedere: la decostruzione, la sovversione, lo shock. Siamo nel 1993, musica non è solo riff di chitarre e beat, i ritornelli durano per sempre, così come gli abiti non stringono più la vita e le forme umane vengono snaturate. I Daft Punk hanno una faccia che non è una faccia, ma nonostante ciò noi la riconosciamo come tale. Anche David Bowie non era né uomo né donna, ma alieno, e l’abbiamo riconosciuto come tale. E proprio come lui il duo parigino decide di adottare un look extraterrestre, forse meno stravagante e più formale, ma comunque etereo.
I Daft Punk hanno invertito le tendenze del mondo dall’alto di una navicella spaziale. Hanno preso quello che c’era già e l’hanno rimescolato attingendo da universi diametralmente opposti, un po’ come farebbe oggi un influencer che indossa le sneakers con l’abito da sera, ma in modo molto più estremo. La loro chiave stilistica è minimal e futuristica, ma sono così timidi che di loro non si è mai scoperto nemmeno un lembo di pelle. Ai Grammy Awards del 2014 si sono presentati al pubblico nelle vesti di infermieri spaziali, con un total white asettico e depersonificante, abbandonando l’ironico richiamo di punk che si accennava con il chiodo in pelle, totalmente glamour. Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter vengono da Parigi ma non gliene frega nulla della moda. L’abito diventa automaticamente costume sui loro corpi robotici, proprio come se vivessero all’interno di un film. Si sono mostrati in pubblico talmente poche volte che sembrava dovessero farci il favore di vestirsi, di adattarsi in maniera impacciata al mondo umano circostante.
I Daft Punk hanno preferito costruire il loro stile digitalmente, piuttosto che fisicamente: nulla di più attuale, in una società che oggi si sta smaterializzando sempre di più per lasciare spazio all’alter ego online. Senza di loro, probabilmente, non avremmo mai conosciuto l’atmosfera sognante e nostalgica della Vaporwave, un genere musicale ma soprattutto stilistico che nasce online durante il primo decennio degli anni Zero, ma che si rifà ad immaginari retrò e pop degli anni 80 e 90. Scenari digitalizzati, glitch, anime ed elementi cyberpunk: una corrente apparentemente nonsense che si sposa perfettamente con le loro canzoni, puramente estetica e piacevole alla vista. Oltre a ciò, I Daft Punk hanno disegnato un universo parallelo privo di genere, essendo loro i primi a non essere identificati come uomini o donne. Sono stati i primi a scrollarsi di dosso ogni imposizione, prima che fosse di moda scrollarsi di dosso ogni imposizione.
Dopo di loro, ufficialmente, la maschera si è trasformata in moda e gli artisti si sono accorti di quanto sia importante immergersi nel mistero per generare interesse attorno alla propria figura. Primi fra tutti i Gorillaz, che sono rimasti fedeli all’immaginario cartoon e alla musica elettronica. Ma l’identità celata prende il suo spazio in tutti i generi musicali, dal metal degli Slipknot al pop di Sia, passando per l’inquietante Vocaloid giapponese Hatsune Miku e il napoletano Liberato, la cui identità non si è mai ufficialmente scoperta. Il punto cruciale non è togliere la maschera, ma saperla indossare e farne la propria identità. E per quello che ci riguarda i Daft punk, alle 9:09 del 9 settembre 1999, sono diventati davvero dei robot. E per questo motivo vivranno per sempre.