Il colpo di fulmine è arrivato relativamente tardi. Era il 26 gennaio del 2014, e la loro discografia brillava con Homework, Discovery, Human After All e con quel capolavoro di Random Access Memories. Il colpo di fulmine, dicevamo, fu immediato, sconvolgente, dinamitardo. In Italia era notte e, dall'altra parte del mondo, c'erano i Grammy Awards. Ad un certo punto, come un sogno vivido e reale, ecco Pharrell Williams che attacca con Get Lucky, mentre alla chitarra c'è Nile Rodgers. Ad accompagnarli, in un crossover da lacrime, nientemeno che Steve Wonder, caldo, placido e meraviglioso. Fu incredibile. La musica, i brividi, la strana sensazione di avere il cuore scoperto e i sensi finalmente risvegliati. E poi loro, dietro la console: i caschi (quei caschi) che riflettevano la platea dello Staples Center di Los Angeles e un completo total white che sembrava venire direttamente dai confini dell'universo.
Ripensandoci oggi - ancora a caldo dopo la distruttiva separazione avvenuta tramite la pubblicazione del video Epilogue - quell'esibizione ha un sapore totalmente diverso. E rafforza un'idea: abbiamo vissuto – via YouTube – al più impressionante scioglimento musicale dai tempi dei Beatles. Nessuna esagerazione, nessuna blasfemia musicale. E a chi pensa sia una provocazione, un consiglio: ascoltate i Daft Punk, ascoltate un loro brano, approfondite la loro carriera, andate oltre le apparenze e le etichette. Sono stati leggenda e rivoluzione, mistero e bellezza. Senza volto, solo arte. Come William Shakespeare, come J.D. Salinger e come Robert Johnson che aveva patteggiato con il diavolo per essere il più grande di tutti. Loro il patto lo avevano fatto con sé stessi. Mai rivelarsi, mai contrapporre l'uomo alla musica. Una musica essenziale ed elegante, sintetizzata ed infinita.
Così, mentre Get Lucky suona per l'ennesima volta, ci stropicciamo gli occhi e ancora non ci crediamo. Di certo non mancano le domande, che si susseguono e ci tormentano come quando ti molla la ragazza all'improvviso. Perché lo hanno fatto? Probabilmente non lo sapremo mai. Perché dircelo? Perché non lasciarci in una perenne e illusoria attesa? Li avremmo aspettati ancora, inutilmente e utopisticamente. Almeno avremmo continuato a sperare, a credere forte che sarebbero tornati dalle stelle per farci ballare, sudare, amare. Per farci risvegliare da un'anestesia constante. E rimettiamo da capo Epilogue, provando a leggere qualche dettaglio che era scappato. Magari è solo l'ennesimo enigma, magari è l'annuncio di un nuovo album. Poi, però, serpeggia la verità, l'accettazione, la rassegnazione di aver vissuto una pagina incredibile di storia della musica e, più in generale, della cultura pop. Sembra assurdo eppure è così: i Daft Punk non esistono più. Ma chissà, come i sogni più belli, forse non sono mai esistiti davvero. Like the legend of the phoenix – huh - all ends with beginnings.