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Celine è il nuovo album di Amill Leonardo:
"La street credibility? Faccio musica per uscire dalla strada, non per restarci"

  • di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

19 febbraio 2021

Celine è il nuovo album di Amill Leonardo: "La street credibility? Faccio musica per uscire dalla strada, non per restarci"
Dopo l'exploit di Numero 9 e il secondo album Matador, Amill torna con un nuovo lavoro intitolato con il nome della figlia, perché "sembra un vecchio proverbio palloso, ma diventare genitore davvero ti rende responsabile". Dalla depressione dopo il successo, al momento in cui ha capito di avercela fatta sul serio, ecco chi è Ali Amin Benameur, l'altro fenomeno di Ciny

di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

Devo essere sincero: era un bel pezzo che non sentivo musica di Amill. Amill Leonardo, alias da rapgame di Ali Amin Benameur, viene da Cinisello Balsamo. Sì, Ciny, lo stesso quartiere di Sfera Ebbasta, ma non c’entrano niente l’uno con l’altro. 

Quando partì la wave trap del 2016, nel sottobosco dei cazzuti duri ci trovavi gente come Amill. Sparring partner di Vacca, ho seguito il suo exploit ai tempi del cd “Numero 9”, dove flagellò come una meteora la classifica hip hop di Spotify. Il pezzo Lewandowski l’avrò pompato cento volte mentre faccio i piegamenti zavorrati. Però ecco, non sentivo robe sue da un bel po’. 

Poi mi arriva la preview del suo nuovo disco, Celine, prodotto da The Platinum Label/The Orchard. Il titolo mi fa pensare al mio scrittore preferito, ma è il nome della figlia di Amill.

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L’album è bipolare, ma in senso bello. Ha una doppia personalità. Da un lato le paure di diventare padre, le relazioni complicate, persino emotività e sensibilità verrebbe da dire. Tematiche non proprio semplici per chi fa musica trap, dove ormai tocca barcamenarsi tra il pezzo di bamba nelle mutande e il gang gang gang ripetuto cento volte. Fanno da contraltare pezzi incarogniti come Work, Pistolero, Lewandowski. In queste canzoni ritorna l’Amill che conoscevo, che m’immaginavo per le strade di Cinisello coi suoi bros a fare danni, o più semplicemente a presidiare una zona calda.

Questa duplice narrazione è l’essenza di chi è Amill oggi: un 27enne che è diventato padre, consapevole di aver dovuto cambiare molte cose nella sua vita. Ma anche uno con cui non vorresti mai sgarrare, manco per errore.

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Partiamo dall’album: quello che mi ha colpito, a livello di sound, è che non c’è nemmeno un pezzo ballabile stile reggaeton, ma ritmi diversi, che non senti tanto: r’n’b, soul. 

“Ho voluto fare qualcosa di diverso perché non mi piace seguire le orme già esistenti. Tutti fanno il pezzo reggae, perché avrei dovuto farlo anche io? All’inizio volevo fare un disco puramente r’n’b, poi scrivendo i testi sentivo di avere ancora molto da dire e quindi abbiamo unito dei sound più trap, anche perché quella è la mia scuola di origine”.

L’album ha un doppio volto: da un lato canzoni intime, quasi melodiche, dall’altro roba proprio street da periferia milanese cattiva. Come convive il lato più emotivo con quello di strada?

“Se non fossi diventato papà non mi sarei mai calmato. Sembra un vecchio proverbio palloso, ma diventare genitore davvero ti rende responsabile. Poi, parlando di sonorità, io non è che ascolto solo musica gangsta rap o trap, mi ascolto i pezzi storici, mi ascolto Beyoncée, mi rilassa l’r’n’b”.

Non avevi paura di perdere un po' della tua street credibility con questi pezzi più emotivi?

“La paura non ti porta da nessuna parte. Oh, c’ho 27 anni, io faccio musica per uscire dalla strada non per continuare a starci, altrimenti avrei continuato a spacciare come facevo prima. Poi dal punto di vista dello storytelling, ci sono nuove leve che spingono forte lo stile street. Perché mettermi in competizione con loro? Per farti un esempio, io non mi metterei mai a 40 anni a fare il gangsta come Guè Pequeno. Ma ci sta, vive single e chiava e fa i cazzi suoi. Io ho altri obiettivi di vita, non mi interessa quell’immaginario lì”.

Beh forse è più coraggioso fare un figlio che spacciare, ormai.

“Bisogna lasciare qualcosa in questo mondo, e quello che lasciamo sono i nostri figli. Oltre la musica, oltre la scrittura e quello che vuoi, i figli son quello che resterà di noi. Ma se ci pensi troppo, non sarai mai un genitore. Non dico che devi fare un figlio a cuor leggero, ma se pensi a tutti i problemi potenziali diventi scemo. Mo’ per dirne una, i soldi, che erano una mia costante paura quando doveva nascere Celine. Pensavo e adesso che cazzo faccio? E se fallisco? Invece la sua nascita m’ha spinto a rimettermi in studio, a picchiare di nuovo sul beat. È per questo che il cd è dedicato a Celine”.

Un’altra cosa che ho notato è che ci sono pochi feat nel disco. È una tua scelta personale?

“Non sono mai stato uno che ha voglia di fare tanti feat, poi mi sono staccato dagli ambienti come quello di Vacca, quella gente là”.

Perché?

“Era sempre uno scazzo con le altre scene, e a me non interessa litigare. Non ho bisogno di scazzare per farmi conoscere. Quindi sì, i pochi feat sono un simbolo del mio essere diventato indipendente. Volevo puntare su me stesso, volevo farcela da solo a fare un disco cazzuto. Non sono più lo scagnozzo di Vacca. Sono me stesso”.

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Nel post che annuncia l’uscita del disco hai parlato di un periodo buio. Che cosa ti era successo?

“Una depressione, pura e semplice, poi ero sotto con le droghe e sono andato in sbattimento. Mi sembrava che nonostante ci fossero i numeri, avessi poco riscontro rispetto al resto della scena. Mi sentivo isolato, potevo fare anche 2 milioni su YouTube e 1 milione su Spotify ma comunque non venivo preso in considerazione. Poi ho capito che non dovevo fare paragoni con gli altri, ma guardare al mio e fare il mio, per me stesso e basta. Voglio pensare alle mie cose e a farle come si deve”.

Quanto conta l’autostima in un’industria spietata come quella della musica?

“Eh, devi credere abbastanza in te ma senza finire nell’egotrip dannoso. Non c’è niente di scritto e di assicurato in ‘sto mondo. Io prima facevo il muratore. Prendevo lo stipendio e lo rinvestivo tutto in musica, in producer, nello studio di registrazione. Alla fine mi è andata bene. Ma serve tanta fede. La fede cos’è alla fine? Essere convinti che le cose miglioreranno anche quando tutto va una merda”.

Qual è il tuo primo ricordo legato al successo, cioè quando hai capito di aver svoltato?

“Quando ho fatto il mio disco Numero 9, era indipendente, senza big label. Avevamo organizzato gli instore, e ho capito che avrei spaccato quando a Bergamo ho visto mille persone a fare la fila fuori dal negozio. E mi ricordo che quando era uscito Numero 9, il primo giorno ero subito sul podio dei cd hip hop più ascoltati in Italia: primi J Ax e Fedez, secondo Sfera, terzo io".

E cosa prova un ragazzo tutto sommato semplice, davanti a mille persone e ad una classifica così?

“Eh non capivo. Non capivo davvero, era un disco da indipendente, loro stavano con la major. Là ho pensato WOH, possiamo giocarcela!”.

Nella canzone Work dici: “ho visto la merda che questo racconta”, e mi ha fatto pensare che nella scena trap attuale ormai la street credibility è diventata più importante della qualità del testo e del sound.

“Questa è la differenza tra la nuova scuola e noi ragazzi usciti nel 2016. Noi volevamo proporre un suono diverso ok, ma restando legati all’importanza del testo, volevamo conciliare le due robe. Mo’ esiste solo il fare brutto. Noi studiavamo le rime, ma guarda un Tedua o un Izi come scrivono bene. Sappiamo rappare, sappiamo mettere le barre giù, non era solo raccontare come e quanto vendevamo droga”.

Oggi l’opinione pubblica incolpa i trapper se i ragazzini si drogano o fanno i delinquenti. Cosa diresti a un genitore che ti incolpa di aver portato il figlio sulla cattiva strada?

“Che se il figlio ha dovuto ascoltare me per avere un riferimento, hai sbagliato come genitore. Se tuo figlio ha bisogno di qualcuno che gli spieghi la vita, è perché tu genitore non gli sei stato abbastanza vicino. Pensare che noi cantanti rendiamo criminali i ragazzi è da estremisti, è come interpretare alla lettera il Corano: nel Corano c’è scritto che devo ammazzare per Dio, ma mica vado veramente ad ammazzare per Dio. Devi interpretare e non prendere tutto alla lettera”.

Eh ma pensa ai pipponi che fanno su Gomorra, tipo.

“Ma cazzo è una serie, uno se fa il criminale… cioè io facevo il criminale ma mica perché mi ero fleshato con Blow, eppure lo adoravo quel film. Io lo facevo perché a casa mia facevamo la fame”.

Ma tu ti definisci proprio criminale?

“Beh cazzo quello ero. Come chiami uno che delinqueva, che spacciava? Criminale. La mia botta di culo è non essere stato beccato”.

Sei uno dei rapper che mette più riferimenti calcistici nei propri testi. Sei ancora innamorato del calcio nonostante ormai non si possa andare allo stadio?

“Il calcio è tutto, è quello che mi fa rilassare. Seguo ogni notizia e aggiornamento da compulsivo. E’ che il calcio è una di quelle robe in cui non sono riuscito a eccellere, ma mi emoziono a vedere il talento degli altri, sono quasi invidioso del calciatore. Non per i soldi, ma per la bravura tecnica”

Come vorresti essere ricordato da tua figlia?

“Come un buon padre, poi viene tutto il resto. Voglio essere un buon padre. Voglio farle capire che la mia storia le può insegnare che devi credere nelle tue ossessioni, che se una persona si sbatte e crede in se stesso può arrivare dove vuole, non ti possono dire di no. Non esiste il no, quando lotti davvero con tutto te stesso”.

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