Barba e baffo incolti, stempiatura da ragazzo qualunque e pugno chiuso. Pablo Hasel sembra uscito da un’altra epoca, quell’epoca precedente al 2009 e all’esplosione popolare di Facebook prima e di Instagram poi, piattaforme virtuali che hanno smaterializzato e inciso la nostra immagine su web, relegando ogni forma d’arte, dalla musica, al cinema, alla letteratura, a un prototipo fisso e sempre uguale, nei cui rilievi è veramente difficile, con le dovute eccezioni, ritrovare un accenno di originalità e sincerità.
Nella musica, e nella trap in particolare, abbiamo assistito, nel tempo, a un processo di stilizzazione dell’artista ancora più marcato ed è per questo che il pugno chiuso e il volto centrosocialaro di Pablo ci appaiono distanti anni luce, come se appartenessero ad un passato scabroso, che abbiamo liquidato quasi con vergogna.
Eppure il suo arresto da parte dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana che si prende la briga di affrontare in tenuta antisommosa decine di studenti e attivisti barricati nel rettorato di Lleida, ha scosso l’opinione pubblica internazionale e ci lascia un grande interrogativo rivolto a tutta la scena rap/trap italiana: ma gli artisti che seguiamo e osanniamo oggi nel Belpaese a cosa servono?
Possibile che la nobile arte musicale italiana sia arrivata ad uno stagnante punto di non ritorno? Possibile che l’ultimo disco di massa dal sapore “politico” e vagamente contestatario sia “Comunisti col Rolex” di J-AX e Fedez?
Ogni giorno è la sagra dell’eterno di ritorno nelle storie delle nostre trapstar nazionali: dallo sfoggio di Riccanza di Sfera in Lamborghini a Los Angeles, alle barre onomatopeiche di Drefgold, alle scorribande social di Ski e Wok (a cui auguriamo una pronta guarigione) fra un FARESHI e un POPPIN POPPIN, fino ai verbali pisciati di Jordan Jeffrey Baby e agli abusi di lean e weed di Sapo Bully.
Ma davvero ci siamo ridotti a questo?
Davvero siamo arrivati al punto di dover prendere lezioni dagli spagnoli? Davvero siamo fermi al palo in questo modo?
L’assenza totale di una presa di posizione, sullo stato presente di cose, da parte della scena italiana ci sembra quasi normale e mentre in Catalogna i rapper fanno la rivoluzione e mobilitano migliaia di persone, agitando masse, spingendo Almodòvar, Barret, Serrat a firmare un manifesto sulla libertà d’espressione, portando premier a promettere riforme del codice penale, in Italia la trap che fa?
"Ha preso il muro Fratellino".
Non ci resta che sperare in un movimento internazionale che riparta dalla Spagna e che ribalti i temi d’interesse trattati dagli artisti italiani.
Il nostro sogno? Vedere Sfera trappare di spread, Sapo di Recovery Fund, Tony di Riforma della Giustizia, e magari Gué affacciarsi alla carica di premier. Che poi parlare di fighe, soldi e canne ha anche un po’ rotto il cazzo.