Siamo solo di passaggio ed è uno shock quando te ne rammenti.
Oggi è mancato Efrem Raimondi, fotografo e artista, portato via da un infarto. Ritrattista, oratore, insegnante, Efrem era conosciuto ai più come “il fotografo di Vasco” (ma è veramente riduttivo), che ha accompagnato dagli inizi del 2000 per Stupido Hotel, le cui foto vennero scattate a Los Angeles e furono usate subito per una mostra di presentazione dell’album. Su Vasco, assieme a Toni Thorimbert, Efrem pubblicò con Mondadori il libro fotografico definitivo: “Tabula Rasa”, appunto. Della serie: dopo questo niente. Un libro che è una perla e copre due decenni della vita del cantante, che anche grazie a queste foto di due grandi artisti deve un po’ della costruzione del suo mito. Efrem lo aveva ritratto nella metro, sulle highway californiane, o vestito sotto una doccia, con quei suoi colori freddi o in bianco nero. Così vedeva la fotografia a cui si era avvicinato da ragazzo durante il terremoto in Irpinia e che non aveva più lasciato. E così parlava di fotografia con chiunque, o quando scriveva lunghi post, mai come un tecnico o un teorico ma sempre con curiosità e umiltà.
Sempre per gli incastri del destino Raimondi lascia il corpo terreno il giorno in cui Vasco fa gli auguri di compleanno a Valentino Rossi, a cui pure Efrem aveva scattato foto iconiche. Ma quelle di Efrem erano tutte iconiche. Ibrahimovic teneva appesa nell’ingresso di casa la gigantografia dei suoi piedi distrutti dal calcio scattata da Efrem. E diceva a chiunque entrasse: “Con quelli pago tutto”. Aveva scelto come ritratto di se, una foto senza il volto. Poi c’erano la foto di suo padre con la cicatrice dell’intervento. Proprio cinque giorni fa scrisse un post su questa foto scattata a suo padre, che è un manifesto della sua vita e della sua arte.
“Da dove partire?
Dall’urgenza.
Il motore fotografico forse è davvero questo: l’urgenza di esplodere.
Non ha importanza poi la tinta, se un acquarello pastello o dei graffi d’inchiostro… uguale. Ognuno modula come gli pare.
Ma l’urgenza non ha a che fare con gli altri, non riguarda il consenso, né tantomeno il successo: è un fatto privato. Intimo.
Fotografare è sputare l’anima. E quando la sputi te ne accorgi.
Non hai bisogno di nessuna conferma. Non servono pacche sulla spalla.
Ciò che si racconta è il presente. La matrice espressiva risiede nella nostra memoria, senza la quale rimbalzeremmo muti e frenetici.
Questo ritratto a mio padre, Luigi Raimondi, è stato fatto sull’urgenza del tempo.
Quello che non avrei più avuto da condividere con lui. Si rimanda si rimanda si rimanda… poi ti dicono che tuo padre sta morendo.
E non l’hai mai ritratto.
Questa è l’urgenza per un fotografo, o per chiunque usi il linguaggio come dinamica dell’io. Quello interiore e che non sai neanche bene dov’è ficcato. Né cosa lo spinga a imporsi con prepotenza.
E la memoria ti serve per dargli una forma. Questo almeno vale per me.Il ritratto più sofferto della mia vita… in banco ottico, col telo a nascondere il mio sguardo allucinato.
Un camuffamento momentaneo visto che poi il risultato è questo.
Era l’ottobre del 1995. Ero molto più giovane. Era un altro pianeta.
E non ero ancora orfano”.
Adesso Vasco e il mondo della fotografia sono orfani di Efrem.