Durante la Fashion Week Milano, che pare nata per questo, raggiunge il suo apice in bellezza e contraddizioni. Incontri e vernissage, chiacchiere, conferenze, a volte moda. Spesso eventi, a volte situazioni. La Fashion Week è riuscita a mettere il trucco alla città, ci è riuscita nonostante la pandemia. Abbiamo già visto tutto più volte, per anni: chi vuole stupire per forza, chi punta a concetti difficili per elevarsi - supercazzole - altri che se la giocano sulle emozioni. A volte scommettono sull’esclusività, un’ottima (e costosissima) scelta.
Se la Fashion Week però questa volta è stata interessante per un motivo in più, si chiama Mettiti nelle mie scarpe, che poi è la traduzione dall’inglese di A Mile in my shoes. In sintesi, pochi minuti in Piazza XXV Aprile che hanno dato uno spessore diverso a tutta la settimana.
L'installazione è una gigantesca scatola da scarpe riempita di (vere) scatole di scarpe costruite da LEVI'S. È il lavoro di Clare Patey, direttrice di Emphaty Museum. Entri nella scatola e ti danno un paio di scarpe abbinate a una storia. Tutte storie forti, importanti, significative. Per noi le scarpe erano bianche e rosa, con la punta rotonda e una fascetta per le caviglie. Colori pastello, numero 41. Il piede non ci entra ed è un peccato, perché chi ne ha preso un paio adatto sta passeggiando per la piazza con delle cuffie in testa. Stivali da pescatore, zoccoli di gomma, sneaker sportive. L’idea è semplice: metti le scarpe e senti la storia, con una registrazione di 10 minuti, di chi le ha portate lì. Medici in crisi depressiva, madri fallite, tossici, rifugiati di guerra. Trentuno storie vere, ventuno in italiano (queste curate e raccolte da Fondazione Empatia Milano). Sessantadue scarpe.
Da vicino, diceva qualcuno, nessuno è normale. Sta tutto - diciamo noi - nel genere di follia che ti tocca interpretare. Quelle scarpe da donna così curate sono di Valentina, 45 anni. Valentina che prima era Giovanni, che insegnava Diritto e lo insegna ancora, adesso da dirigente scolastico. Ha lasciato la scuola a giugno da uomo ed è tornata a settembre da donna.
Il racconto comincia con un rumore di sottofondo, è forte. È un po’ il traffico e un po’ la solitudine. Valentina racconta la sua storia. Ha una voce serena, quasi divertita e mai didascalica. Il tono di chi ha fatto i conti con la propria coscienza. Ogni tanto fa delle lunghe pause in cui riaffiora il rumore di fondo, entri ed esci dalla storia come quando riprendi fiato da sott’acqua. Parla dell’empatia con le ragazze, dell’amore anche. Della sua vita di prima, passata provando una forte distanza tra mente, corpo e anima. Non è la Prinçesa di De André, ti racconta la sua sofferenza con una leggerezza che fa invecchiare. Mica per le rughe, per il pezzettino di saggezza che ti resta addosso, come a dire che non c’è nulla di che vergognarsi. Nulla a cui non possiamo arrivare.
Poi si, è Prinçesa. Valentina lo diventa quando capisce di essere donna.
Psicologi, terapie ormonali, nuovi documenti. Felicità, in qualche modo, quando un uomo la chiama piccola principessa. E poi depilarsi integralmente per la prima volta, farsi la barba con maggiore cura, scegliere la porta delle donne al cesso, tu con un paio di scarpe in mano in Piazza XXV Aprile. E ancora Valentina che si guarda allo specchio, si sistema il rossetto e nasce di nuovo con la paura di aver capito che, quello, è l’unico modo dignitoso di esistere.
Esci un po’ più ricco senza aver pagato nulla, l’investimento è di 10 minuti. Lasci lì le cuffie combattuto tra l’ascoltare un’altra storia ed andartene così, a stomaco pieno. Meglio andarsene a pensare.
Era un evento messo in piedi da LEVI'S, ma allo stesso tempo un corso accelerato sul sapersi spogliare come hanno fatto loro. Togliersi tutto e restare nudi, lasciare che la gente guardi dentro. Le lenzuola sfatte, i piatti sul lavello e i segreti nei cassetti. Sostanze, vizi, idee, vergogne. Prendi tutto quello che hai sempre nascosto e lo metti sul tavolo per farlo annusare, toccare e giudicare da sconosciuti. Bellezza e contraddizioni, come Milano alla Fashion Week. Guardate, sono così. E così è. E in fondo e neanche tanto in fondo è bellissimo.