Prima Ikea, poi Lidl, e ora anche Jägermeister. Il “normcore”, cioè la corrente che normalizza la moda ramificandola a tutto ciò che è quotidiano e poco canonico, sta sfociando sempre più nell’improbabile. Qualche anno fa poteva anche essere considerato cool, ma nel 2021 se giri con la borsa dell’Ikea per fare hype sei totalmente fuori luogo. Ciò non toglie che in questo periodo di piattume ogni slancio creativo sia apprezzabile. È bello che molti brand abbiano abbracciato l’idea di reinventarsi realizzando dei contenuti artistici validi, pur sfruttando i pochi mezzi della realtà casalinga. Ma per quanto sia eticamente corretto rispazzolare i capi di qualche anno fa, la moda ha bisogno di idee molto più innovative per sopravvivere al crollo dell’ultimo anno. E la collezione di Jägermeister che puzza di 2017 non è altro che l’ennesimo colpo di grazia.
Il concetto alla base non è nemmeno tra i peggiori: un gruppo di creativi da diverse parti del mondo si è unito e ha creato una capsule collection che mira a supportare la club culture, donando un euro per ogni ordine alla piattaforma streaming “United We Stream”. La collezione ha l’obbiettivo di enfatizzare il ricordo della vita notturna, una specie di omaggio nostalgico alle serate nei locali con gli amici. All’atto pratico la linea è abbastanza basica: qualche felpa, pantaloni della tuta e calzini, ovvero tutta roba che nessuno di noi indosserebbe, se mai dovesse ricominciare la nostra frenetica nightlife. Ci sono anche dei risvolti interattivi, com’è logico che sia: il pezzo forte della “BEST NIGHTS” collection è una t-shirt camouflage che grazie a un filtro Instagram svela degli elementi nascosti nella grafica. Ormai, se non aggiungi l’elemento digitalizzato in un pezzo d’abbigliamento sei fuori dalla wave. Ma perché non impiegare le energie per creare qualcosa di esteticamente piacevole, invece che ricorrere di continuo agli escamotage tecnologici per convincerci che stiamo indossando un capo figo? A nessuno del team creativo di Jägermeister è balenato in mente il fatto che l’all-over camo sia morto nel 2017, che lo streetwear non punti più sul catarifrangente, e che i giovani davvero alla moda vogliano indossare qualcosa di totalmente diverso e che li identifichi col brand?
Jägermeister ha voluto cimentarsi nel mondo fashion chiamando a sé dei personaggi già inseriti nel settore, ma questo incontro (o scontro) di cervelli ha fatto perdere di vista l’elemento strategico fondamentale, che non deve mai mancare: la comunicazione. A primo sguardo la collezione non richiama alla mente alcun valore del brand, dalla scelta delle forme e delle grafiche fino alla totale mancanza del logo, che è l’unico elemento che ci riconduce visivamente alla fama dell’amaro tedesco. In che modo Jägermeister è passato dall’essere l’emblema giovanile dell’alcolico underground, al vestire da testa a piedi il modello Alojz Abram, meglio noto come “Supreme Grandpa”? Una mossa che vuole accaparrare l’audience, ma che non riesce a nascondere il fatto che la collezione sia scarna e un po’ troppo fuori tempo. E per citare uno dei commenti degli indignati: l’unico target di una linea di abbigliamento Jägermeister dovrebbe essere quello dei ventenni in vacanza sulle piste da sci, ubriachi 24 ore su 24.