In Italia c’era il Postal Market in America avevano Victoria’s Secret. Capite l’enormità del nostro complesso di inferiorità? Era l’epoca in cui la Zanussi pubblicizzava il forno VapoRex con un pollo appena sfornato e la figlia adolescente che diceva “Io mangio solo un’insalata” mentre la sorellina piccola la perculava: “È a dieta, vuole fare la modella!”. Oggi una pubblicità del genere sarebbe impensabile e la ragazza adolescente probabilmente direbbe: “Hai messo abbastanza strutto e burro e olio nel pollo? E il mio chilo e mezzo di pane dov’è?” e la sorellina: “Si è buttata all’ingrasso, vuole fare la modella!”. Già perché a un certo punto, negli anni 10 di questo secolo, qualcuno disse: “Le modelle dell’intimo di Victoria’s Secret sono troppo belle”. Ma non lo disse con quell’entusiamo e partecipazione che trovava tutti d’accordo, no, lo disse con un’espressione un po’ schifata nella faccia, con un senso di fastidio e un’indignazione epocale. Tanto che alcuni gli chiesero, con la voce di Carlo Verdone: “In che senso?”. E quello spiegò che le modelle della lingerie dovevano essere “non so, tipo brutte, hai presente le gambe lunghe? Mica hanno tutte le gambe lunghe. Ecco le modelle dovrebbero avere le gambe corte. Poi che sono questi fisici che si vedono, tipo, gli addominali. No, tu gli addominali me li devi nascondere. I sederi? Mettiamoci un po’ di cellulite. Le caviglie? Grosse”. Qualcuno, passando, origliò quella conversazione e gli parve cosa buona e giusta. E così iniziò il declino di Victoria’s Secret, azienda convinta che le modelle dovessero fare le modelle anche se c’erano modelle che volevano fare le modelle ma volevano scofanarsi tutto quello che veniva dal forno VapoRex perché fare la modella è una tortura, signora mia, e poi ci viene l’anoressia. Che brutta vita.
Adesso, a parte il fatto che anoressia e bulimia, mi pare, erano e sono diffuse molto più tra le non modelle che tra le modelle, non mi pare che le nuove modelle, ossia le influencer di moda, siano chiattone. Victoria’s Secret fu accusata anche di appropriazione culturale per avere portato in passerella un copricapo nativo-indiano, considerato offensivo nei confronti dei pellerossa (a questo punto la cancel culture dovrebbe cancellare l’America, il Sudamerica, la Spagna e l’inghilterra e mentre ci siamo anche Canada e Francia) e per dei draghi di cartone ritenuti poco rispettosi dei cinesi. E qui ci vuole il grande Ricky Gervais: “Una volta lo scambio culturale era una cosa buona e bella. Le culture che si incontravano e si mischivano. Adesso è una cosa orribile. La chiamano appropriazione culturale. Però voglio dire una cosa. La parola con la “n” la usano soltanto gli afroamericani. Ma l’abbiamo inventata noi bianchi”.
E insomma, sommersa dalle critiche, nel 2019 Victoria’s Secret smette di fare il suo show annuale. Appena le persone vedevano quella serie di “turbofregne” (cit. Giancarlo Magalli) smetteva di comprare e le vendite calavano. La sfilata show, quella con le ali come gli assorbenti, è tornata quest’anno ed è stata meravigliosa e freak. In passerella modelle ultra cinquantenni, modelle post parto, un po’ acciaccate dall’età, sbortulinate in faccia, con i fili tiranti sottocutanei che se ne partiva qualcuno faceva effetto cavo d’acciaio e poteva decapitare qualche sciura in prima fila. C’era anche qualche modella carina, tipo Vittoria Ceretti, ma l’effetto era nostalgia nostalgia canaglia con il ripescaggio delle antiche top model e Cher che cantava. Non è bastato. Non è sembrato abbastanza inclusivo. Non c’era neanche un uomo in intimo donna, dicono. Perché offendere così i travoni? Credo che la stessa definizione di “intimo-donna” debba a questo punto essere ritenuto offensivo. Il management di Victoria’s Secret è molto confuso.