“Faccia da mostro”, un (sopran)nome da cinema per un personaggio enigmatico che è stato associato a una serie di episodi di sangue tra gli anni Ottanta (soprattutto) e Novanta. Un personaggio ormai mitologico, essendo morto nell’agosto 2017 – sulla spiaggia di Montauro, paese calabrese dove viveva, da uomo libero – prima che le indagini e i procedimenti aperti nei suoi confronti potessero appurare alcunché di definitivo o anche solo di definito. Per alcuni si tratta di una figura chiave legata a omicidi eccellenti e stragi di mafia, per altri era solo un ex poliziotto tirato in ballo a sproposito. A raccontare quello che si sa (e/o quello che si immagina) della storia di colui che all’anagrafe risulta come Giovanni Pantaleone Aiello, nel libro intitolato appunto “Faccia da mostro” appena uscito per Rizzoli, è Lirio Abbate (vicedirettore dell’Espresso), che, ripercorrendo e romanzando la vicenda, sostiene che si sia arrivati a capo anche di un altro mistero ormai quasi trentennale, quello dell’identità della donna che sarebbe stata vista assieme ad Aiello in varie circostanze, una napoletana che avrebbe fatto parte di Gladio.
Nel libro e sull’Espresso sono state anche pubblicate varie foto di “Faccia da mostro” in configurazione motoristica, tra due ruote, auto e motoscafi: “Il boss calabrese Nino Lo Giudice – scrive Abbate – ha detto ai magistrati che «Faccia da mostro» andava ai suoi incontri a bordo di un fuoristrada: «E veniva sempre con una donna, una sua… lui diceva che era una sua amica, ma comunque faceva parte pure dei servizi segreti e la chiamava Antonella […]. Antonella parlava che era un’azionista, era una guerrigliera, che avevano fatto addestramento in Sardegna ad Alghero, nei pressi di Alghero, che era dei servizi segreti»”.
A far puntare i riflettori della cronaca (e della magistratura) su Aiello sono stati dei pentiti: “Dal 1985 al 1989 «Faccia da mostro» – si legge nel libro omonimo – è associato a cinque crimini di primaria importanza. 6 agosto 1985: l’omicidio di Ninni Cassarà e di Roberto Antiochia. 7 ottobre 1986: l’omicidio di Claudio Domino. 14 gennaio 1988: l’omicidio dell’agente Natale Mondo. 21 giugno 1989: il fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura. 5 agosto 1989: l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. Cinque fatti scioccanti che hanno segnato la storia d’Italia, cinque anelli dell’ininterrotta catena di misteri che da sempre imprigionano il corpo stanco e ferito della nazione. Cinque storie che presentano ancora punti non chiariti, non svelati. Segreti. «Faccia da mostro» può essere solo e soltanto «associato» a queste tragedie perché a noi è giunta l’eco della sua presenza, qualche riscontro nei verbali della polizia e negli interrogatori dei collaboratori di giustizia. Fugaci apparizioni, avvistamenti, tracce del suo passaggio. Ci sono però mafiosi e testimoni che collocano l’uomo dal volto sfregiato in ognuno di questi cinque delitti”. Tra le deposizioni a partire dai primi anni Duemila si sarebbe appreso per esempio che “C’è un uomo molto brutto che ha contatti con la ’ndrangheta e con Cosa Nostra, ha il viso sfigurato, è un ex poliziotto passato ai servizi segreti”, mentre in un’altra c’è Lo Giudice che dice “Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia molto pericoloso”. E ancora “è un cane”, e “sto parlando di un uomo fuori dalle regole”.
“Dopo tre decenni – scrive Abbate – il suo nome salta fuori: Giovanni Pantaleone Aiello, classe 1946. Arruolato in polizia quando aveva diciotto anni, congedato il 12 maggio 1977, a 31 anni, perché dichiarato non idoneo al servizio militare, per gli esiti di una ferita da arma da fuoco alla mandibola destra, sfociati in “turbe nevrotiche post-traumatiche”. […] E il suo tenore di vita è stato al di sopra delle proprie possibilità economiche, rispetto alla pensione che percepiva. Negli anni Ottanta, almeno in Cosa Nostra, lo cercavano tutti. Negli anni Novanta scompare e non lo cerca più nessuno. Negli anni Duemila si fa fatica a riannodare i fili dei decenni precedenti. Verrebbe da dire che è stato aiutato in passato da chi ha condotto male le indagini o da chi le ha volute condurre in malo modo, depistando. Per tutti gli anni Novanta, praticamente di lui non si hanno più notizie. È come se il suo compito fosse concluso, come se fosse stato messo «a riposo»”.
Di contro, non mancano le versioni scettiche (e/o garantiste): “«Faccia da mostro» – le parole di Luciano Capone sul Foglio all’epoca della morte di Aiello – è stato accusato di ogni nefandezza: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio all’omicidio di Nino Agostino, dall’assassinio di Ninni Cassarà al fallito attentato dell’Addaura, dalle bombe sui treni all’uccisione di un bambino, ora anche dell’uccisione di un medico, poi depistaggi, legami con la destra eversiva, Gladio, la massoneria e chi più ne ha più ne metta. Dove c’è un crimine di «Stato-mafia» c’è lui: «Faccia da mostro». Più recentemente è finito al centro dell’inchiesta «’ndrangheta stragista», su un presunto patto eversivo – quasi contemporaneo alla trattativa – tra Stato, mafia, ’ndrangheta e massoneria a inizio anni ’90. Nessuna di queste accuse è stata mai appurata. Gli inquirenti non sanno neppure se sia mai stato un agente dei servizi, figurarsi il resto. Di lui si sono occupate quattro procure – Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio – e nessuna ha mai chiesto neppure un rinvio a giudizio, i pm (incluso il duro Nino Di Matteo) hanno chiesto solo archiviazioni. Mai disposta nemmeno una misura cautelare”.
Per Abbate invece (per quanto la cronologia in fondo al suo libro confermi il filotto di archiviazioni) non bisogna mollare la presa: “La morte si è portata via Giovanni Aiello prima che lo Stato potesse chiarire al di là di ogni dubbio le sue eventuali responsabilità e il suo coinvolgimento in molti, troppi fatti di sangue. Ma non è mai troppo tardi per cercare la verità. Molti dei protagonisti di questa lunga storia possono ancora parlare. E molti personaggi che sono rimasti nell’ombra possono essere adesso illuminati. Chi è stato «coperto» venga adesso svelato”. Da parte sua il vicedirettore dell’Espresso fa il nome della donna che sarebbe stata a suo tempo collegata a “Faccia da mostro”: “La «guerrigliera» che accompagnava agli incontri, con uomini della ’ndrangheta, l’ex poliziotto Giovanni Aiello, meglio conosciuto come “Faccia da mostro” – scrive Abbate – è una napoletana che ha fatto parte di Gladio. Seguendo la storia di quest’uomo dal volto sfregiato e dal passato inesplicabile si è arrivati a svelare l’identità di una donna misteriosa che oggi ha 64 anni e si chiama Virginia Gargano. […] Sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, la procura antimafia di Catania ha avviato un’indagine su di lei, nell’ambito della stessa inchiesta per concorso esterno alla mafia che ha visto indagato Giovanni Aiello. La donna è stata intercettata dai carabinieri fra il 2013 e il 2014. La sua foto era stata inserita dagli investigatori in un fascicolo nell’ambito di un’attività di analisi compiuta dal Servizio centrale antiterrorismo della polizia di Stato e mostrata ai collaboratori di giustizia. E così è emerso, incrociando i dati, che Virginia Gargano rientrava in un elenco di probabili elementi appartenenti alla struttura Stay Behind. In poche parole, Gladio. Una delle poche donne a far parte della struttura di gladiatori”, anche se per il giornalista siciliano è bene usare il plurale. Perché in più casi le indagini accertano il coinvolgimento di figure femminili nei delitti e nelle stragi, da quella di Capaci (tracce di dna femminile sono state rilevate su reperti trovati vicino al cratere dell’autostrada) alle bombe di Roma, Milano e Firenze”.
Abbate aggiunge che “Virginia Gargano è bionda, fisico statuario, viso allungato, labbra sottili. L’accento napoletano. […] Ufficialmente disoccupata, possiede un paio di immobili nei quartieri spagnoli a Napoli, che ha dato in affitto e da cui ricava reddito. Ha vissuto a Caserta per trasferirsi a Reggio Calabria. Nel capoluogo calabrese è stata legata ad un uomo che nel 2018 è stato coinvolto in un’inchiesta su ’ndrangheta, riciclaggio e intestazione fittizia di beni. […] Nell’estate del 2013 i carabinieri registrano una conversazione tra la coppia, da cui traspare il carattere forte e deciso di Gargano. Una donna determinata. Una madre di famiglia devota ai figli, ma con un passato ingombrante. […] Nel 1981 si era sposata con un ex campione di nuoto, nonché ex gladiatore, anche lui della lista di Stay Behind”. Lo stesso Abbate ammette che “gli investigatori catanesi hanno cercato le connessioni fra Virginia Gargano e Giovanni Aiello e a parte le dichiarazioni di ex mafiosi, non sembrano esserci stati fra il 2013 e il 2014 punti di contatto fra i due”, ma aggiunge che “su questa «guerriera» è puntata adesso l’attenzione degli investigatori fiorentini che continuano ad indagare sulle stragi del 1993”. Ha provato a indagare in prima persona anche il vicedirettore dell’Espresso: “A Reggio Calabria, nel periodo della pandemia, all’ultimo indirizzo conosciuto – si legge nel libro – dicono che non si vede da tempo. Qualcuno azzarda che abbia cambiato casa. Nel suo stato di famiglia è inserita solo la figlia. Riesco ad avere le foto di lei degli ultimi anni, ma sembra impossibile vedere scatti che risalgono agli anni Ottanta o Novanta. È come se non vi fosse traccia del suo passato. […] E allora provo a chiamarla, proprio nei giorni che precedono la chiusura di questo libro. Contatto i numeri di telefono che sono riuscito a procurarmi, voglio una dichiarazione, un confronto. Voglio capire la sua storia. Fosse anche solo per riportare una sua versione dei fatti o una sua eventuale smentita. E forse avrei dovuto immaginarlo, ma non è così semplice. Tra utenze disattivate e numeri non abilitati alle chiamate in ingresso, è un buco nell’acqua dopo l’altro. […] Io – conclude Abbate – sono arrivato fin qui. Il resto spetta agli inquirenti”.