Circolano da giorni sul web decine e decine di video che testimoniano la violenza e la rabbia di una protestata, quella iniziata in Colombia lo scorso 28 aprile, di cui ancora non conosciamo la reale portata. Disordini contro il presidente Iván Duque e il suo governo iniziati in seguito all'annuncio di una nuova riforma fiscale, proposta in parlamento il 15 aprile, ed esplosi il 28, dopo un grande sciopero generale che ha coinvolto gran parte del paese.
La miccia di una bomba ormai esplosa e il motivo scatenante di una protesta che non riguarda più solo il presidente Duque e la sua riforma fiscale.
La Colombia è un paese in ginocchio, distrutto dall'emergenza Covid e dalla gestione che il governo colombiano ha attuato nel corso degli ultimi 14 mesi: l'imposizione di uno dei lockdown più lunghi al mondo, che ben presto si è esteso a tre lunghissimi periodi di blocco totale, ha costretto oltre 500mila attività alla chiusura. Il tasso di povertà, già in precedenza elevato, è arrivato a superare il 44%, con circa 2,8 milioni di persone costrette a vivere in condizione di estrema povertà.
La riforma fiscale, nata per cercare di porre rimedio a questa situazione attraverso la raccolta di fondi per attivare programmi di sussidio, prevedeva un aumentato dell’Iva e della base imponibile, colpendo soprattutto la classe media e quella medio-bassa della popolazione, rischiando quindi di costringere altre piccole attività alla chiusura e, di fatto, rischiando un ulteriore aumento del tasso di povertà.
La riforma fiscale, obbligatoria e necessaria secondo gli economisti di tutto il mondo per tentare di risollevare le sorti di un paese allo stremo, è stata però concepita, e comunicata ai cittadini, nel peggiore dei modi possibili, in un momento di disperazione e tragedia. Impossibile vederne i benefici sul lungo periodo per chi, come la maggior parte dei colombiani in questo momento, fatica a sopravvivere.
A nulla sembra essere quindi servito il ritiro - da parte del presidente Duque - della riforma fiscale, lo scorso 2 maggio: il governo, dopo aver spiegato le necessità di questo cambiamento, ha accolto il malcontento popolare, cercando un compromesso per ideare una "nuova riforma basata sul consenso generale". Negli scorsi giorni sono arrivate anche le dimissioni del ministro delle finanze e del credito pubblico Alberto Carrasquilla, ma il licenziamento del capro espiatorio della riforma non è bastato a sedare la rabbia dei cittadini.
Le violenze non si sono placata ma, al contrario, sono aumentate nel corso dei giorni concentrandosi nelle città di Bogotá, Cali e Medellín dove la violenza della polizia ha aumentato la rabbia dei manifestanti. Al momento sono stati confermati 24 morti, di cui almeno 11 per mano della polizia, un centinaio di cittadini scomparsi e oltre 800 feriti.
Numeri che sono destinati ad aumentare e che, seppur molto alti, non rendono ancora l'idea della portata della manifestazione, testimoniata online da alcuni video di cittadini e giornalisti del luogo. Riprese fatte con i cellulari, dalle finestre degli appartamenti della città di Cali, o per strada, nel centro degli scontri.
Agenti che colpiscono la folla con molotov, che inseguono e aggrediscono persone estranee alle manifestazioni, che sparano sulla folla indistintamente, in pieno giorno o nel buio di queste lunghissime notti colombiane. Nemmeno il freddo e la pioggia di questi ultimi giorni sembra aver fermato le ronde dei poliziotti che, nel tentativo disperato di sedare le proteste, non fanno altro che aumentare la violenza, ottenendo il risultato contrario.
I manifestanti non si fermano e continuano a lottare contro la ferocia della polizia ma, soprattutto, per cercare di focalizzare l'attenzione mediatica internazionale su un paese ridotto allo stremo, guidato da una classe dirigente che appare completamente disconnessa dai reali problemi della popolazione.