Mentre a Minneapolis l'ex agente di polizia Derek Chauvin veniva dichiarato colpevole per la morte di George Floyd, a Columbus, in Ohio, una ragazza nera di 16 anni veniva uccisa da un poliziotto. Quattro colpi di pistola a distanza ravvicinata per il rischio che la sedicenne, coinvolta in una rissa con altre due ragazze, le colpisse con un coltello.
Un filo rosso collega la morte di George Floyd a quelle di Eric Garner, Laquan McDonald, Michael Brown, Breonna Taylor e - ultima vittima di questa pandemia armata - a quella della sedicenne Ma’Khia Bryant. Un filo rosso che unisce il dramma del razzismo sistemico all'aumento della violenza nelle grandi città statunitensi, restituendo l'immagine di una polizia rabbiosa, che spara invece di disarmare e che agisce prima di pensare.
Un guerriglia armata che riguarda tutti, cittadini compresi. Per ogni statunitense ci sono 1,2 armi da fuoco pro capite e la probabilità di essere uccisi da una pallottola è 25 volte più alta rispetto agli altri paesi occidentali ad alto reddito.
"In America l'uso delle armi è un'epidemia" dice Joe Biden, che si lancia in quella che sarà l'ennesima lotta contro i mulini a vento delle grandi lobby americane.
Epidemia però, è la parola perfetta. Perché, come il Covid ci ha insegnato molto presto, anche al più assurdo dei drammi moderni ci si può abituare. E così come tutto il mondo ha preso confidenza con restrizioni e lockdown, così l'America si è abituata ad alzare le mani.
Le sparatorie nei supermercati non fanno più notizia, quelle nelle scuole tanto meno, le stragi si confondono e si dimenticano, sempre più in fretta. I nomi delle vittime non hanno importanza, neanche quando a morire - nel parcheggio di un McDonald's a Chicago - è una bambina di 7 anni.
Diventano numeri, come in una pandemia.
Cifre di una violenza che si mescola ad un'altra, capace di rendere i cittadini più diffidenti, i piccoli crimini più comuni, la delinquenza più accessibile, la polizia più aggressiva. Un cerchio che si chiude nel sangue di un paese che ha - in tutti i sensi - una pistola puntata alla testa.
Ma disarmare le persone, per un popolo come quello americano, rappresenta ancora oggi un traguardo molto lontano. L’influenza delle lobby dei produttori delle armi, e in particolare della National Rifle Association (NRA), pesa sull'andamento di tutte le campagne elettorali americane (sia repubblicane che democratiche), e rimane un macigno politico quasi impossibile da rimuovere dal complicato ingranaggio della politica statunitense.
Ma le lobby non rappresentano l'unica barriera che separa il paese da una legge per il controllo delle armi da fuoco. Il diritto alla protezione personale infatti è inciso dell'unica vera sacra scrittura made in USA: la Costituzione americana.
"Non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare le armi" recita il II Emendamento costituzionale del 1789, che ancora oggi viene letto con un'interpretazione letterale, senza considerare quanto anacronistica possa essere questa lettura, che mette sullo stesso piano la società contemporanea con il sistema settecentesco dei 13 Stati originali dell'Unione.
Così anche se il Congresso federale, come richiesto da Biden, riuscisse a limitare la vendita delle armi, sarebbe la Corte Suprema ad avere l’ultima parola sulla questione, trattandosi di una questione costituzionale. E l'attuale Corte Suprema presenta una maggioranza conservatrice di sei rappresentati su nove, situazione che non permetterebbe di modificare l'interpretazione del II Emendamento al fine di far approvare quella che sarebbe una storica svolta progressista.
Mentre si cerca una soluzione ad oggi utopistica, i reati violenti nelle città americane continuano a salire. Le sofferenze psicologiche ed economiche causate dalla pandemia non fanno che logorare un tessuto sociale già fortemente deteriorato, rendendo le città sempre meno sicure e i cittadini sempre più diffidenti.
Come una pandemia, che dilaga senza cura e soluzione, con cui gli americani hanno ormai imparato a convivere.