Porta una bandana rossa, un orologio che traccia il bioritmo e le attività sportive, il fisico asciutto e teso di chi in palestra ci va spesso, ma solo se è costretto. Giacomo Galliani, brianzolo di classe ’92, ne ha viste tante e si diverte a raccontarle. Su Instagram, dove oltre alla sua pagina gestisce Studio Overflow, ha scritto “THE NO EXCUSES COACH”, tutto in maiuscolo: “Faccio il personal trainer, il preparatore atletico”, ci racconta da South Garage, per Night Ride Out. Ed è appassionato di quel mondo lì, che ti vuole prima di tutto contro te stesso. Perché è quello che fa chi, ad esempio, si mette in testa di correre un Ironman, disciplina - la più dura nel triathlon - che lui conosce bene: “Alleno le persone, anche chi poi l’Ironman lo fa di professione. Nell’Ironman si combinano tre discipline: nuoto in acque libere per 3,8 chilometri, 180 Km di bicicletta - una tappa corta del Giro - e una maratona di corsa, 42 chilometri”.
Lui, in questo mondo fatto di limiti umani fisici e mentali, ci si è ritrovato per fare i conti con le proprie paure: “La verità è che ho iniziato a fare triathlon perché avevo paura dell’acqua e mi hanno iscritto a una tappa, terapia d’impatto. L’anno scorso ero in Sardegna, c’era il mare mosso, era novembre: ero tranquillo perché pensavo che avrebbero tolto la parte di nuoto. Invece si è fatto comunque e dopo un chilometro ho iniziato a vomitarmi addosso, in acqua. Ma non volevo mollare perché ti prepari un anno per fare una gara, poi vomiti… mi sono messo tranquillo, e anche se ci ho messo delle ore ad uscire dall’acqua poi sono arrivato. È stato un disastro portare a termine la gara ma ce l’ho fatta”.
Zero scuse quindi. Che è facile soltanto da dire, anche se resta fondamentale nel suo approccio alla vita: “Il mio motto è un modo di vivere. Partiamo dal fatto che le scuse non esistono e chi le ha davvero non le utilizza. Alleno un ragazzo che si chiama Andrea Pusateri, arriva dal paraciclismo, non ha una gamba e l’anno scorso ha fatto un Ironman usando l’handbike per la parte in bici. Che scuse può avere uno così? Ci sono persone che con tutte le scuse del mondo si alzano la mattina e si allenano cinque ore per fare una gara”.
Poi spiega che il triathlon non è massacrante soltanto per la distanza, la vera sfida è riuscire ad allenare il corpo senza tralasciare nulla, mettendo assieme quello che per molti è ‘lo sport più completo’, il nuoto, alla corsa che si pratica da quando esiste l’uomo e alla bicicletta che è il simbolo della fatica fatta a disciplina: “Nella corsa i muscoli che si utilizzano sono gli antagonisti di quelli della bici. Le prime volte hai crampi, dolori, disastri. Perché lo faccio? Mi piace mettermi in gioco, superarmi, la fobia dell’acqua era una sfida che dovevo affrontare. E questa terapia d’urto mi ha avvicinato al triathlon. Nel 2019 ho fatto il campo base Everest in bicicletta, una volta all’anno cerco di fare qualcosa di diverso che mi metta alla prova”.
Infine, Giacomo parla di futuro, delle sue prossime sfide. E racconta che adesso l'obiettivo è coinvolgere anche altre persone: “L’anno prossimo per Ironman c’è in ballo l’Oman, ma l’idea è quella di fare mountain bike sul Kilimangiaro. Ho da sempre la passione per la montagna e in un certo senso la trasmetto: spesso le persone mi chiedono di andare assieme e ora finalmente stiamo organizzando dei gruppi di per andare assieme. La prima tappa è al monte Palanzone, una tappa molto semplice. C’è un sito, giacomogalliani.it, in cui ci sono tutte le info del caso. Poi andremo a cose sempre più complicate, vediamo”.
Per ultima, quella domanda che si riserva a pochi: come vorrebbe morire Giacomo Galliani? Lui ci pensa, ride, poi risponde: “Sicuramente non in modo banale”.