Doveva lasciare andare. Alla Copse, Max Verstappen, doveva pensare al mondiale, ai punti della stagione, alla strategia. Doveva permettere a Lewis Hamilton di passare e di andare a vincere il suo Gran Premio di casa. Magari poi giocarsela al cambio gomme, sperando in un passo gara migliore, o anche solo accontentandosi, questa volta, di un secondo posto che gli sarebbe valso oro.
Ma non lo ha fatto, perché Max Verstappen è un pilota di Formula 1, e i piloti non lasciano andare. Non concedono, non aprono, non facilitano. O almeno, i piloti come lui - come loro - non lo fanno mai.
Qualche volta va bene, ci si sfiora e via, ma qualche volta va anche male. Si finisce con la macchina schiacciata contro le barriere di una delle curve più veloci e famose di tutto il mondiale, con il fiato in gola per l’impatto spaventoso, con un ricovero in ospedale e uno zero che pesa come un macigno sul tabellone del campionato.
Finisce che ti chiamano via team radio: “Max, Max stai bene?” E tu non rispondi perché chissà dove sei con la testa, con il cuore, con il corpo che per un attimo non è lì con te. Rispondi a fatica, dopo un silenzio che sembra eterno, ed esci barcollando da un cumulo di ferraglia. Vai al centro medico, poi in ospedale, ti fanno una tac al cervello mentre il tuo avversario vince, a casa sua, e festeggia, e ride, e ti avvisa: “Lui deve sapere che io non alzo il piede”.
Ma tu lo sai, Max, tu lo sai che il campionato inizia ora. Da quei festeggiamenti ritenuti un po’ fuori luogo, da quei punti guadagnati e poi buttati via, dalla paura e da una voglia di riscatto che adesso pesa, sul tuo collo, come i 51G dell’impatto alla Copse.
È finito il tempo delle parole gentili, del rispetto tra avversari. Seppellito sotto ai detriti di una Red Bull distrutta, dimenticato tra i commenti di chi giudica la foga di uno, la mancanza di rispetto dell’altro.
C’era e poi, in un attimo, non c’è più. Quante volte lo abbiamo visto in passato?
Come gli avversari di Senna che gli puntavano il dito contro: "Con lui non è mai bello competere, perché il piede non lo alza e o ti arrendi tu, o finite a muro entrambi". Come Schumacher, scorretto, aggressivo, duro nei tratti come nei contatti. E quante volte lo rivedremo?
Ci sarà un altro tempo ora, un tempo che rimescolerà le carte, e che comincia da qui. Da una curva, da uno scontro in cui c’è tutto, e da due piloti che non alzano il piede. Che si sfidano, di coraggio e di paura. Senza pensare al peso delle conseguenze.