L’attrice Diana Del Bufalo ha osato l’inosabile. Tramite storia Ig ha raccontato di aver ricevuto un paio di apprezzamenti da parte di due maschi, si presume bianchi etero – razza crudele! -, e di aver gradito l’accadimento. Lei, dall’interno della propria auto (scena del crimine), ha proprio informato i follower del terribile episodio, osando – lo ribadiamo – riderci sopra. “Sarà che sono tra le pochissime donne a cui piace il catcalling”, chiosa Diana “ma con ‘sta faccia che mi ritrovo oggi, siete proprio falsi!”. In queste ore, su Twitter le è partita contro una shitstorm che, a confronto, fa apparire Fedez vs Codacons un Mahatma Gandhi dei giorni nostri intento ad accarezzare un tenero capriolo boschivo. Si cinguetta di anni di lotta femminista mandati in fumo dai 10 secondi di storia dell’attrice, dell’eventuale trauma che potrebbe piombare sulla collottola di chi dovesse sentire le sue parole e c’è chi minaccia, tramite meme che fa sempre simpatia, di spingerla giù dalla tromba delle scale. Una domanda: ma che? Davvero?
Questo è decisamente troppo e lo è da fin troppo – perdonate la ripetizione, necessaria - tempo per poter continuare a fare finta di niente. Prima di analizzare il fenomeno, partiamo dall’attuale singolo caso e concentriamoci sulle origini del male, ovvero: da dove salta fuori Diana Del Bufalo la nuova supervillain anti-femminista del giorno? Nota come attrice, influencer e cantante, questa celebre schiava del patriarcato si è fatta conoscere ad Amici, edizione 2010-11. Considerato che poi la sua carriera è partita sul serio – incontabile il numero di teen idol lanciati dal talent verso l’oblio semi-immediato -, viene da domandarsi tramite quale gaudioso miracolo di Lourdes ci sia riuscita.
Ebbene, la ragazza è esplosa sul web nel 2014 grazie alle suadenti note del brano “La Foresta” che nel ritornello intonava “Ce l’ho pelosa”. In seguito, l’attrice e cantante ha proseguito la sua discografia con la storia di “Delfina” che ha “voglia di cazzo grande e grosso come un palazzo”. Delicatissima, anzichenò. Ma resta comunque forse la primissima volta in cui a diventare virali sono state parole di una femmina che invece di piangere per Marco che se ne era andato e non ritornava più aveva preferito cantare di se stessa, del suo corpo e della voglia, naturalmente anche femminile (ma l’argomento sette anni fa non era instagrammabile come oggi), di concedersi una sana sgambettata di piacere.
Prima di lei, una hit sulla figa (possiamo chiamare le cose col loro nome? Grazie) l’aveva scritta Gianluca Grignani (ve la ricordate, L’Aiuola?) ed era ben difficile che una donna raggiungesse il mainstream con tematiche così “inappropriate”, soprattutto se trattate in tono comico e “poco sensuale”. Di più, era addirittura improbabile che una femmina “per bene” si cimentasse a prodursi in parodie così sfacciatamente hot, chi mai l’avrebbe presa sul serio? Infatti, il progetto di Diana è nato sul web, praticamente autoprodotto per il gusto del lol. La battuta o la parodia becera sul sesso, quella che fa pure ridere e molto, fino ad allora era pressoché sempre stata appannaggio del punto di vista maschile dagli Elii ai Gem Boy. Stiamo dicendo che Diana Del Bufalo abbia fatto la storia della musica? Stiamo parlando di una rivoluzionaria? No, quei brani erano e restano trashate divertenti. Ma se proprio vogliamo dare un peso alle parole, è bene tener conto di tutte le parole. Gag sul mestruo in storie Instagram, fatte da lei sempre in quei tempi bui in cui gli assorbenti non solevano cantare negli spot pubblicitari, comprese.
Ecco, se vogliamo dare un peso alle parole – e vogliamo – siamo sicuri al 100 % che la Del Bufalo con la frase “Sono tra le pochissime donne a cui piace il catcalling” non intendesse dire che prova del piacere fisico nel vedere o immaginare femmine inseguite la notte da loschi figuri che ne demandano le virtù. Crediamo invece però che, prima di indignarsi, sarebbe necessario buttare un occhio al contesto: qui stiamo parlando di una ragazza uscita di casa senza trucco né inganno che si è sentita rivolgere un apprezzamento e la cosa l’ha positivamente stupita. Fine della storia (Instagram). Questo singolo episodio a lei personalmente può aver fatto piacere? Esiste un veto tale per cui sia contemplata una sola reazione possibile e “giusta” a determinate circostanze e, non ci sono santi, quella dev’essere per tutti? Non è forse questo il modo in cui ragionano, su altre tematiche, ferventi sostenitori delle libertà individuali come Pillon e Adinolfi? Ragazzi, dai, siamo un po’ meglio di così.
Attenzione, però: tutti questi interrogativi non vogliono banalizzare il problema: se è vero che un maschio bianco etero – razza crudele! – non dovrebbe mai sentirsi in diritto di molestare una donna (e invece, ahinoi, purtroppo ancora ci si sente) risulta anche cristallino che la questione rimane sempre la stessa: “catcalling” – insieme a tanti altri termini ormai di uso corrente - è finito per diventare un luogo comune che ingloba dentro di sé una vastissima gamma di atteggiamenti maschili dallo sguardo alla minaccia passando per l’apprezzamento fugace bollandoli en ensemble come gesti di estrema violenza contro il genere femminile tutto.
Che boiata.
Diana, senti, a questo punto, considerata la “controparte”, devo proprio dirti che tra le pochissime donne che apprezzano il catcalling ci sono anche io. Domani conto di uscire a fare la spesa in pigiama. Se qualcuno volesse dirmi che sono bellissima, mi trova all’Esselunga. Probabilmente reparto assorbenti canterini.