Lo abbiamo detto qui: essere interisti significa sopportare anche una vittoria. Manco il giorno dell’anniversario del Triplete si può stare tranquilli. No. Gigi Simoni è morto. Grande vecchio del calcio pure quando era giovane perché vecchio lo sembrava: capelli bianchi, autorevolezza, calma e forza, questo comunicava. Il suo era un altro calcio e a essere diversa era anche la figura dell’allenatore. Non c’erano i Mourinho i Conte, i visionari alla Pep Guardiola o alla Klopp. In Italia andavano gli operai, gran lavoratori: Lippi, Mazzone, Boskov, solo per citarne alcuni. E Gigi Simoni.
Se penso a Gigi Simoni penso a Juve-Inter, partita che vale lo scudetto del '98. Iuliano entra su Ronaldo. Rigore netto. Netto. Tutt’oggi, quando riguardo quell’episodio, non me ne capacito. Netto come uno schiaffo quando te lo tirano in piena faccia. Netto come un cazzotto in pancia. E invece l’arbitro non fischia, e sull’azione successiva rigore per la Juve. Calciopoli venne fuori solo anni dopo. E non è questa la sede in cui parlarne. Gigi Simoni entrò in campo, era indemoniato. Quello che poteva essere il punto più alto della sua carriera si trasformò nel suo più grande dolore, una smorfia lo accompagnerà per anni, forse a quel momento ci avrà ripensato pure nei suoi ultimi istanti, quasi ci scommetterei. Lui, così misurato, quella volta esplose. Se la prese anche con Lippi. Quando Moratti lo esonerò, molti dissero che non si tratta così un signore, che Gigi non se lo meritava. Era vero. Ma dopo una delusione del genere era dura tenere una squadra sotto di sé. In ogni caso Gigi, Gigi Simoni, resterà sempre nella storia di un calcio italiano fatto di allenatori partiti dal basso e che in quegli anni conquistarono tutto. Ciao Gigi.