Aliya Salahuddin è una giornalista, scrittrice e documentarista che si divide tra l'Italia e Pakistan per le sue corrispondenze con l'Indipendent Urdu. Ha scritto e prodotto documentari su questioni come la diaspora, l’identità, la democrazia e la religione. Ha anche condotto una campagna di sostegno a livello nazionale per il canale contro le leggi discriminatorie del Pakistan e in seguito ha prodotto film che esplorano questioni relative ai diritti umani come la legge sulla blasfemia. L’abbiamo contattata perché in questi giorni, mentre scorrono le immagini terribili dei cittadini afgani all’aeroporto di Kabul in attesa di una via di fuga dopo il ritorno dei talebani dovuto al ritiro americano (e degli attentati dell’Isis) si è parlato molto anche del ruolo ambiguo del Pakistan in questa emergenza umanitaria: storico alleato degli Stati Uniti che sta accogliendo migliaia di profughi, ma anche accusato di aver sostenuto gli “studenti coranici” in questi 20 anni di occupazione occidentale, ora alle prese con le spinte fondamentaliste che stanno insediando il governo democratico.
Prima del ritiro degli americani dall’Afghanistan c’era il sentore di un ritorno dei talebani?
Quando il presidente Trump ha fissato la scadenza per il ritiro abbiamo temuto che i talebani avrebbero trionfato. Lo sostenevano esperti e commentatori in tutto il Pakistan e non è stata una sorpresa nemmeno per gli Stati Uniti, visto come si sono svolti i colloqui di Doha e come il governo Ghani sembrava essere stato messo da parte in questo processo di transizione. Giornalisti e intellettuali hanno predetto questo futuro da tempo e lo abbiamo visto concretizzarsi rapidamente negli ultimi mesi, quando la violenza in Afghanistan è aumentata nei confronti di giornalisti, attivisti e istituzioni. La tragedia che tutti sostenevano di evitare si è, purtroppo, concretizzata.
Qual è la posizione politica del Pakistan rispetto a ciò che sta accadendo in Afghanistan?
Il Pakistan è sotto i riflettori a livello internazionale con lo svolgersi degli eventi in Afghanistan. Ha un interesse in ciò che accade nel paese vicino e ospita milioni di rifugiati, fra quelli registrati e gli altri privi di documenti. Non si può negare il fatto che il Pakistan abbia influenza in Afghanistan a causa dei suoi stretti legami: per l’etnia condivisa, per le relazioni passate e gli scambi commerciali con il Paese senza sbocco sul mare e che quindi dipende dai porti pakistani. Ma c'è anche una questione di interessi di sicurezza del Pakistan.
C’è chi sostiene che il Pakistan abbia un rapporto ambiguo verso i talebani, addirittura c’è chi dice che li sostenga.
Alcuni commentatori hanno chiamato la vittoria dei talebani in Afghanistan la vittoria del Pakistan. Il Pakistan è stato accusato di aver dato rifugio ai talebani afghani sul suo territorio e di aver fornito loro sostegno. Tuttavia, il governo ha negato questa ricostruzione. Negli ultimi vent'anni, non dobbiamo dimenticare che il mio Paese è stato vittima a sua volta del terrorismo e della violenza dei talebani pakistani, che sono diversi dai talebani afgani.
Quanto è forte la minaccia talebana anche in Pakistan?
Si stima che dall'inizio della guerra in Afghanistan siano state perse a causa del terrore 70.000 vite pachistane. Questo ha reso il Pakistan uno Stato di polizia e ora questa situazione in Afghanistan rafforza ulteriormente l'esercito del Pakistan a livello nazionale e la sua narrativa sulla sicurezza. Ciò ha portato a molti cambiamenti interni: c'è una crescente censura nei media, si cerca di silenziare le voci di dissenso e i movimenti di resistenza interni. Un debole governo democratico dipende fortemente dall'esercito. Questo è sicuramente vista come una battuta d'arresto per i liberali e i democratici in Pakistan.
Come ti spieghi che l’esercito afgano non abbia opposto nessuna resistenza?
Gli analisti hanno spiegato che l'esercito afghano si è demoralizzato quando gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro e avviato colloqui di pace con i talebani. Fino ad allora si era basato sulla forte dipendenza e il supporto degli Stati Uniti, nonostante ciò aveva subito migliaia di perdite. Tuttavia, penso che tutte le parti coinvolte nei colloqui di pace sapessero che i talebani sarebbero tornati al potere. Che cosa avrebbe dovuto fare, allora, l'esercito afghano?
Come vivi umanamente le immagini delle persone all’aeroporto che chiedono aiuto?
Sto guardando questi eventi da lontano, ma posso dire che ho amici che vivono in Pakistan che hanno molta paura del loro futuro e di quello dei loro figli. C'è il timore che questa facile invasione dell'Afghanistan avrà influenze politiche - e forse ideologiche - anche in Pakistan.
Si è parlato di “talebani moderati”. Che ne pensi?
È vero, si parla molto del “nuovo” volto dei talebani. Ci viene detto che nel 2021 sono cambiati. Ma dobbiamo ricordare che anche la società afghana è cambiata. L'Afghanistan ha una società civile in crescita e molto fiorente. C'è una generazione di persone che probabilmente non ricorda il periodo precedente all'11 settembre 2001. Ormai le donne afghane stavano facendo passi da gigante, entrando in ogni campo del lavoro e in posti di eccellenza. C'erano donne ministro, leader, reporter, giornaliste, persino donne ambasciatrici in altri paesi.
C’è preoccupazione per le donne afgane?
Seguo molte donne afgane che hanno condiviso la loro disperazione e impotenza sui social, dandoci un'idea di quale terribile battuta d'arresto sia per loro sul fronte dei diritti. Le donne pakistane entrano profondamente in empatia con le sorelle afghane poiché anche loro hanno combattuto innumerevoli battaglie contro la disuguaglianza, la violenza e la repressione. Comprendiamo il dolore, che è reciproco e riconosciamo quanto sia difficile la loro lotta e il loro sacrificio.
Secondo te i media italiani stanno raccontando nel modo giusto quello che accade, oppure manca una più profonda comprensione di culture così diverse dalla nostra?
Ci sono aspetti dello svolgersi degli eventi che sono molto difficili da comprendere. Come accade in ogni Stato che diventa centro della geopolitica mondiale, questo si trasforma in “parco giochi” per guadagni politici e strategie di sicurezza per diversi altri Paesi. Posso capire se i media non sono in grado di andare in profondità e fornire le sfumature necessarie ai propri lettori o spettatori. Non penso nemmeno che le persone siano molto interessate a capire le sfumature, quando è più facile vedere il bianco o il nero.
Puoi farci un esempio delle sfumature che non vediamo?
Ad esempio, ci vengono mostrati solo due lati della storia. Da una parte c'è la corrotta élite tecnocrate-politica sostenuta dalle potenze occidentali, dall’altra i talebani. Ma invece ci sono molti giocatori che si muovono in questa arena. Come tutti i movimenti nazionalisti di base che sono contro le potenze occidentali e contro i talebani. Inoltre, c'è una resistenza pacifica e popolosa che cresce nella cintura tribale tra Afghanistan e Pakistan, ma non c'è stata abbastanza copertura mediatica o comprensione della sua ascesa. Ci sono varie ragioni, la prima è ovviamente l'impazienza e la mancanza di desiderio di comprendere i vari strati di una società. La seconda ragione è la continua censura dei media su tali movimenti data la narrativa sulla sicurezza promossa dallo Stato pakistano.
In tutto questo, alla fine a pagare sono sempre i civili?
Naturalmente, perché i media di tutto il mondo semplificano parlando di una vittima, il popolo afghano e cercano un cattivo da condannare. Ma gli stessi cattivi stanno usando i media per puntare il dito contro gli altri. Il Pakistan incolpa gli Stati Uniti e parla spesso di non voler essere il “capro espiatorio” della superpotenza. A sua volta, il Pakistan è stato visto come un alleato ambiguo. Quindi sono entrati in gioco Russia, Cina e India. I titoli sono attraenti quando parlano di chi guadagna e chi perde, sono buoni punti di discussione per eventi, sociali e talk show televisivi. Ma alla fine questa è una tragica storia di tradimento nel suo complesso. Il governo afghano si sente tradito, il popolo afghano anche, così come lo stato pakistano e gli stessi cittadini.
Quale consiglio daresti ai media italiani?
Mentre il mondo piange per il dolore degli afgani che vogliono lasciare il Paese ma non possono, i media e la società in Italia saranno giudicati per il modo in cui reagiranno alle storie dei rifugiati afgani che stanno arrivando. Come accoglieremo coloro che non volevano lasciare il proprio Paese ma sono stati costretti a farlo? Quanto profondamente i media ci aiuteranno a capire queste persone e ad empatizzare con la loro per dargli il coraggio di costruirsi una nuova vita? Questo sarà il vero banco di prova per i media italiani.