Dopo vent'anni, martedì si è tenuta la cerimonia conclusiva e i soldati torneranno nelle prossime settimane, con i colleghi della Nato. Dopo oltre 240 mila persone uccise, 54 militari italiani morti, un numero incalcolabile di feriti e di danni economici e sociali, si è conclusa la missione (per tanti una vera e propria occupazione) in Afghanistan iniziata dopo l’attacco alle Torri Gemelle in America nel 2001 per dare la caccia a Bin Laden e ai terroristi islamici.
Un momento storico, ma anche l’occasione per fare il punto su una delle più discusse operazioni antiterrorismo della storia. Ne abbiamo parlato con il giornalista Massimo Fini, profondo conoscitore di questi temi per essersene occupato anche attraverso un libro dedicato al mullah Omar – capo storico e guida spirituale dei talebani – e per la sua proverbiale schiettezza.
Fini, qual è il bilancio di questi 20 anni di presenza militare occidentale in Afghanistan?
È un bilancio disastroso. Abbiamo distrutto un paese che già non se la cavava benissimo facendo più danni dei sovietici. Oltre ai danni materiali abbiamo compiuto danni morali e sociali volendo imporre i nostri valori, la nostra democrazia, tutte cose che non riguardano certo gli afgani, talebani e non talebani.
Qual è stato il grande errore?
Che gli americani si sono lanciati in quel paese senza conoscere usanze e abitudini. Faccio un solo esempio: quella è una società organizzata per clan. Poniamo che uno di questi non stia né con noi né con i talebani, se uccidi un uomo di quel clan ti fai come minimo 1500 nemici. È quel che è accaduto.
Il contingente italiano ha fatto gli stessi errori?
Peggio! Noi italiani siamo stati fedeli come cani, ma sleali. Abbiamo avuto pochissimi morti, 54, dei quali solo 20 in combattimento e gli altri per vari incidenti. Ma l’errore maggiore è essere venuti a patti con i comandanti talebani. C’è un famoso episodio che racconto nel mio libro Il mullah Omar. Quando abbiamo fatto un accordo con un capo talebano, per fingere che loro ci attaccassero e noi di avere sotto controllo il territorio, ma in realtà non era vero niente. Un altro episodio grave, sempre dopo aver stipulato un altro patto, quando il contingente italiano è stato sostituito da quello francese in una determinata zona. Ma quest’ultimo, non sapendo dell’accordo, subirà una delle sue più gravi perdite in Afghanistan. I nemici si combattono, non si viene a patti con loro.
Ora in tanti si chiedono: ci si può fidare dei talebani?
Il controllo del territorio ce l’hanno già. Ora è da capire la differenza fra i talebani di oggi e quelli capeggiati dal Mullah Omar. Il mullah ai suoi tempi emanò una amnistia che fece rispettare per tutto il periodo del suo governo, dal ’96 al 2001. Questi di oggi sono incarogniti da 20 anni di resistenza, per cui tutti i collaborazionisti rischiano. Il portavoce talebano ha detto che non sarà fatto loro nulla, ma in una dichiarazione ambigua perché ha aggiunto “purché si pentano del loro tradimento nei confronti del paese”. Non credo verranno toccati i soldati dell’esercito regolare, chiamiamoli così, perché sono poveri ragazzi che per trovare un salario si sono arruolati. Tutte le altre gerarchie, invece, dovrebbero essere salvate portandole in Occidente on in Paesi sicuri.
Avremmo potuto ritirare prima i nostri militari?
Lo ha detto anche il Pentagono, che il ritiro avrebbe dovuto essere organizzato molto prima. E poi non era obbligatorio rimanere in Afghanistan. Gli olandesi se ne sono andati nel 2010 quando si sono resi conto che non era il caso di rimanere. Si erano battuti bene e avevano perso anche il figlio del loro comandante. Ricordo che il portavoce dei talebani che dipendeva dal mullah Omar, scrisse un comunicato in cui ringraziava il governo e il popolo olandese. Per cui non era necessario rimanere fino all’ultimo, come ha detto il nostro ministro della Difesa.
E allora perché ci siamo rimasti?
Perché in guerra siamo sempre fedeli come cani agli americani, ma in fondo anche sleali verso i popoli invasi. Si è visto in Afghanistan, ma anche in Libia dove abbiamo partecipato all’aggressione a Gheddafi, tra l’altro contro i nostri interessi, ma siccome gli americani avevano deciso di partecipare li abbiamo assecondati. E nonostante Berlusconi, allora presidente del consiglio, avesse dimostrato grande amicizia verso il colonnello. Però quando morì disse cinicamente “sic transit gloria mundi”.