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Auto, alcol e droga, le confessioni dell’attentatore del Bataclan: “Amo la velocità”

3 novembre 2021

Auto e guida sotto l’effetto di sostanze, le confessioni dell’attentatore del Bataclan: “Amo la velocità”
La notte del 13 novembre 2015 un gruppo di terroristi affiliati all'Isis, tra cui Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando islamista che il 13 novembre fece strage a Parigi, si è raccontato al processo, parlando della sua vita e della sua personalità: “Amo la velocità”, ha detto. Dopo la maturità tecnica, andò a lavorare come meccanico. Poi fu arrestato per tentativo di rapina in un garage e condannato più volte, anche per guida senza patente o sotto l’effetto di stupefacenti. Abaaoud, mente operativa degli attentati di sei anni fa, lo utilizzò nei mesi precedenti per scorrazzare in tutta Europa su auto di grosse cilindrata e cercare gli altri terroristi

La notte del 13 novembre 2015 un gruppo di terroristi affiliati all'Isis, tra cui Salah Abdeslam, ha fatto una strage nel cuore di Parigi: 130 morti, 90 dei quali al teatro Bataclan. Salah è l’unico sopravvissuto del commando. Il 18 marzo 2016 è stato arrestato a Molenbeek, dove era nascosto insieme ad altri terroristi da più di quattro mesi. L’8 settembre di quest’anno si è aperto il processo a lui e ad altri imputati. Processo nell’ambito del quale ieri l’islamista, che non si pente, ha parlato di sé, nell’udienza che riguardava la sua vita e la sua personalità. Che ha a che fare anche con le auto, altro elemento di cui ha fatto un uso come minimo rivedibile.

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La cattura di Salah Abdeslam

“Salah – riferisce La Stampa – ha parlato, forse anche un po’ recitato. È originario di Molenbeek, il quartiere di Bruxelles, da dove provengono gran parte degli altri tredici imputati, accusati di complicità. Papà conducente di tram, mamma casalinga, di origini marocchine, Abdeslam dice che da bambino era «calmo e gentile. In famiglia c’era una buona atmosfera». Dopo la maturità tecnica, andò a lavorare come meccanico nella società del padre, a riparare i convogli. Ma dopo un anno e mezzo si licenziò, inanellando una serie di lavoretti. Finché una sera fu arrestato per tentativo di rapina in un garage («mi ci ritrovai in mezzo, senza volerlo»), assieme al suo amico da sempre, Abdelhamid Abaaoud, altro giovane perso di Moleenbek. Ieri non lo ha ricordato, ma anni dopo, guardando i video postati da Abaaoud dalla Siria, mentre al volante di un Suv trascinava nella polvere i cadaveri dei giustiziati dello Stato islamico, Abdeslam si convincerà che anche per lui era arrivata l’ora della jihad. Prima era stato condannato più volte, anche per guida senza patente o sotto l’effetto di stupefacenti. «Amo la velocità», ha commentato ieri. Abaaoud, mente operativa degli attentati del 13 novembre, lo utilizzò nei mesi precedenti per scorrazzare in tutta Europa su auto di grosse cilindrata: andava a cercare tra l’Austria e l’Ungheria gli altri terroristi del commando, arrivati dalla Siria come migranti qualunque. La sua radicalizzazione risale al 2014, giusto un anno prima del Bataclan. In precedenza (ma, secondo varie testimonianze, anche pochi giorni prima gli attentati…) Abdeslam beveva, andava in discoteca (pure gay, per attirare omosessuali adulti e poi spennarli), si faceva le canne nel bar del fratello (lui martire davvero il 13 novembre). Ieri ha voluto ridimensionare quel Salah lì («Spinelli? Una volta ogni tanto»). Per poi riassumersi così: «Sono nato in Belgio, sono cresciuto lì, impregnato dei valori occidentali». Che vuol dire «vivere come un libertino, senza preoccuparsi di Dio. Fare, bere e mangiare quello che si vuole»”.

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