Come in un almanacco, promo della primavera, i capezzoli delle ragazze, evidenti, affioranti, sontuosi, da se stessi citofonati insieme ai seni sotto il tessuto leggero degli indumenti, sorgono nella stagione che prende innanzitutto nome proprio dal suo Aprile. Pronti a sconfiggere l’idea che si tratti, come altrove pronuncia T. S. Elliot, del “più crudele dei mesi”, destinato d’ufficio floreale a “generare lillà dalla terra morta”. Al contrario, in nome dell’umana troppo umana casualità i capezzoli richiamano appunto la promessa dell’estate che presto avrà luogo. Germinale e Fiorile di una carnale sensualità già promessa dal calendario della rivoluzione francese. Gareggiando con altrettanto evidenza davanti gambe adesso nude, liberate da calze e collant, nell’ideale spareggio desiderante che François Truffaut ci ha consegnato con “L’uomo che amava le donne”, lo sguardo di Charles Denner a compendio visivo del sensibile sessuale naturale.
Sollecitati dall'agente atmosferico i capezzoli sono adesso pronti a mostrarsi con casualità del sovranismo femminile
Capezzoli che hanno come unico nome se stessi, la propria evidenza, surclassando, fuori da ogni intento spettacolare, le stesse competizioni balneari, artifici da commedia turistica d’ogni possibile “Papete” o “Lido Cantalupo” del mondo; lo spritz a anticipare un rionale festival ordinario dedicato al contest di “Miss maglietta bagnata”, ipocrita, socialdemocratica visione di una nudità travisata da una incidentale casualità sollecitata dalla secchiata d’acqua improvvisa, affidare al bagnino-servo di scena non meno balneare.
Una giuria di villeggianti “morti di fica” a determinare infine, tra ululati, applausi e ancora nuovi spritz, innalzati all’ombra di una tettoia di incannucciato, i seni più meritevoli d’attenzione e dunque di premio; l’Edipo maschile di massa in bermuda, proprio d’ogni rivelazione del turgore femminile, reificato marxisticamente, in un’apoteosi della sognata possibile fornicazione diportistica. Suggerimento di un sogno tattile non meno maschile che vorrebbe infine con la bocca “assaggiare” di persona l’intero corpo altrui nella sua fragrante “bontà”.
Sollecitati dall'agente atmosferico, i capezzoli adesso evidenti, magari appena accennati, se non proprio lumeggiati, pronti a mostrarsi con casualità del sovranismo femminile naturale bussano da sotto i reggiseni; un racconto pronto a restituire una sociologia dei corpi. Tra i possibili testi iconico- letterari a fronte, accanto ogni prevedibile cosmogonia dei selfie allusivi a bordo spiaggia, la storia a fumetti di “Paulette” firmata Wolinski e Pichard, avvenente e procace ricchissima ereditiera gauchiste tra lotte operaie e la fine dell'utopia hippy nella comune di Ras-le-Bol-Ville. O piuttosto, planando nel mondo reale dei social, di Elettra Dotti, venere milanese, interista e antagonista, tra cielo sopra Berlino, dove invidiabilmente risiede, e ogni altro luogo da lei sfiorato; inarrivabile, sontuosa, fin dai suoi seni sorgenti, Elettra.
Ora da sotto la t-shirt di semplici pischelle svogliate che fanno ritorno a casa, oppure di milf procaci che, chinandosi sul carrello, suggeriscono trastulli inconfessabili durante la fila alla cassa del supermercato mentre piazzano il divisorio affinché la propria spesa non sia confusa con banane e "Tavernello" del mesto cliente successivo.
Un datario stagionale vivente del corpo femminile che “parla”, racconta, annuncia, si imponene allo sguardo altrui ora e sempre in nome dell’estate infinita finalmente raggiunta, forse la medesima che Albert Camus, filosofo libertario e collezionista di relazioni femminili interclassiste, incastonava in versi assoluti: “Mia cara, nel bel mezzo dell’odio ho scoperto che vi era in me un invincibile amore. Ho compreso, infine, che nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate”.
Affermazione poetica del tutto istintuale, che poco o nulla ha da spartire con gli intenti glam, a loro modo blandamente “politici”, di Victoria De Angelis, bassista amuleto dei Maneskin, orgogliosa protagonista di una battaglia che vive sotto lo sticker “free the nipple”.
A far concorrenza all’intelligenza artificiale vive la moda del “Just Nips for All”, ovvero incollare capezzoli finti sotto le t-shirts
Si sappia che, a far quasi concorrenza all’intelligenza artificiale, nell’altrove dei red carpet globali, vive altrettanto la moda del “Just Nips for All”, ovvero incollare capezzoli finti sotto le t-shirts o lo micro canotte, evitando in tale maniera di far uso del reggiseno. Apprendiamo che si tratti di un'attitudine giunta “direttamente da New York e sono già tante le star che hanno abbracciato la ‘Just Nips for All’. Il reggiseno, soprattutto quando fa caldo, può essere una vera scocciatura, meglio utilizzare allora dei “fake nips”, adesivi in silicone che si attaccano direttamente sui capezzoli”. Un brand garantito dall’azienda omonima “Just Nips for All”, appunto, dove i capezzoli finti sono disponibili in doppia versione: cold, con “effetto freddo”, i più morbidi, e “freezing”, più rigidi, pronti a suggerire un capezzolo turgido tout court, nessun ulteriore sotto testo. Il costo è di 9,99 dollari, e possono essere utilizzati, assicura ancora il bugiardino accluso alla confezione, “un centinaia di volte”. Nel blog dove ha avuto luogo una discussione sulla “liceità” di tali protesi, Enea, qualificandosi “ex Agente di Assicurazione e Promotore Finanziario”, all’interrogativo se sia “legale per una ragazza lasciare che i capezzoli si vedano sotto la maglietta?”, piccato risponde: “Assolutamente illegale, io a tutte quelle che non si mettono una moneta sul capezzolo in modo da non metterlo in mostra, le manderei dritto per dritto in galera, senza prima infliggere loro una bella multa di 1.000 euro. Ecco va bene così? Adesso la piantate una buona volta con tutte queste menate sui capezzoli?!”
Peccato che al dibattito manchi l’opinione di un’amica, nipote di un trascorso vate della critica letteraria nazionale, già da bimba fotografata da Luchino Visconti, sandali ai piedi, nella spiaggia letteraria di Castiglioncello, che anni addietro, durante i turni di lavoro per il montaggio delle interviste nella sede Rai di via Asiago, aveva cura di occultare i suoi vistosi capezzoli con un doppio velo di kleenex, così da non sentire addosso gli sguardi puntuti del personale tecnico irrimediabilmente distratto dalla sua presenza, aspiranti “rattusi”, lessico regionalistico di derivazione partenopea.
Decenni fa, un cartellone pubblicitario germinale, accompagnato proprio da una parvenza di capezzoli, lì ancora a citofonare i seni e soprattutto se stessi sotto biancheria intima e abiti, annunciava: “Signori, a grande richiesta l’estate!”