Pietro Morreale è in carcere a Termini Imerese (Palermo) in stato di fermo e non parla. Nel mentre, nel silenzio di Caccamo, distante una trentina di chilometri, serpeggia l’angoscia per un delitto atroce che da giorni ha come fermato il tempo in città.
Domenica Il diciannovenne si è presentato con il padre e l’avvocato alle autorità alle 9,30 del mattino e li ha condotti al cadavere di Roberta Siragusa, 17 anni, la sua fidanzata. In un dirupo ai piedi della montagna un lenzuolo bianco steso in terra. Dopo il dolore, da questa scena in poi inizia il caos.
Pietro parla di suicidio, la ragazza si sarebbe data parzialmente fuoco per poi gettarsi in un burrone. Ma non torna, niente torna in questa storia. Attorno al luogo della sua morte niente tracce di incendi e la dinamica non collima, così come le versioni discordanti di Pietro che è stato indotto al silenzio dal suo legale.
Ieri i carabinieri hanno setacciato la zona del campo di calcio di Caccamo, dove la macchina di Pietro è stata avvistata due volte dalle telecamere. La zona, un luogo in cui si appartano le coppiette, sarebbe il luogo in cui Roberta è stata uccisa. Solo dopo, secondo le forze dell’ordine, Morreale avrebbe portato il corpo della ragazza sulla montagna.
Si aspetta la chiusura delle indagini ma per ora il fidanzato è il sospetto numero uno per gli inquirenti. Gli amici di Roberta parlano di una fine annunciata, di un ragazzo violento e geloso che l’ha allontanata dalle amiche e dalla danza che amava, di una brutta cicatrice comparsa sul volto della giovane la scorsa estate, di maltrattamenti, di violenze. Insomma si preannuncia uno scenario in cui più o meno “tutti sapevano” e al tempo stesso forse sottovalutavano.
I femminicidi insegnano solo una cosa: prevenire è meglio che curare. Bisogna educare le vittime a sporgere denuncia, a fare rumore, a non subire in silenzio. Questa triste storia forse poteva essere evitata.