L’ostruzione del canale di Suez, insieme all’epidemia di Covid che da un anno intero attanaglia le nostre vite, è l’ennesima circostanza che ci da l’esatta misura di quanto cavolo siamo piccoli; e ignari, nella maniera più assoluta, di ciò che accade alle nostre spalle così come a migliaia di chilometri di distanza. Esempio: ho acquistato un set di tazzine colorate nel punto vendita di fiducia del paese, o dopo un rapido “aggiungi al carrello-procedi all’acquisto” sulla piattaforma web del momento. La tazzina ha dunque intrapreso un lungo e tortuoso viaggio prima di arrivare alla mia credenza, partendo da una fabbrica X del mercato orientale per esser poi caricata su un container Y sopra la nave Z in direzione Europa. La nave viaggia, solca gli oceani, è a volte preda dei pirati (esistono ancora), procede spedita e arriva finalmente nel punto dove imbarcazioni cariche di tesori si infilano per traghettare le merci in Europa: il canale di Suez.
Oddio, cos’era che non mi ricordo? Parliamo di un canale lungo 193 chilometri creato dall’uomo per agevolare le comunicazioni tra Europa e Asia, diventato un punto chiave dei traffici commerciali. Si, proprio lui: quel corridoio fatto di acqua che abbiamo a volte scorso nelle cartine in miniatura sui libri di storia di medie e superiori. Attraversando verticalmente l’Egitto collegando dunque il Mar Mediterraneo con il Mar Rosso, nel canale aperto nel 1989 vengono organizzati i transiti di tre convogli alternati al giorno, permettendo così a moderni e mastodontici mostri marini di acciaio di raggiungere i nostri porti per rifornire megastore, negozi di elettronica, sanitari, benzinai e qualsiasi tipologia di rivendita regalandoci sonni tranquilli. Settimane di transito, controlli e difficoltà fluttuano a nostra insaputa oltre il tepore delle nostre case, mentre acquistiamo e acquistiamo e acquistiamo e farlo ci sembra la cosa più semplice e scontata mai esistita.
Ma torniamo alla tazzina di caffè con i disegni di Harry Potter da poco comprata, che per conoscermi sta viaggiando dall’Oceano a casa mia. Ebbene, una volta giunta alle porte del Mediterraneo, ecco l’imprevisto: una tempesta di sabbia, evento meteorologico piuttosto comune nel canale di Suez, si abbatte in maniera più forte del solito. E’ il 25 marzo e la vittima è una delle più grandi navi portacontainer esistenti: la Ever Given. Con i suoi 400 metri e 220.000 tonnellate, a causa del maltempo la Ever Given si incaglia di traverso nella parte meridionale del canale, ostruendo il passaggio alle altre imbarcazioni creando così un ingorgo pari a quello delle partenze il 15 agosto, però sul mare. Si incaglia di traverso, esatto: è la famosa legge di Murphy, secondo la quale se ti cade una fetta biscottata spalmata, lo farà sicuramente dalla parte della marmellata. Poteva fermarsi dritta o non fermarsi affatto e invece, ha creato un’ostruzione completa al passaggio bloccando merci in arrivo posizionate su più di 200 imbarcazioni per un danno già quantificato in miliardi. Sì perché, una portacontainer trasporta di tutto: dal regalo per tua madre al saturimetro che hai ordinato in farmacia fino al combustibile che fa partire il tuo motorino. Mercanzia che adesso si trova bloccata, in attesa di una soluzione. Ma è mai possibile tutto questo? Sì, se si considera che in un canale largo circa 225 metri si è incagliata di sbieco una nave che di metri di lunghezza ne conta quasi 400, oltre a una larghezza di 60: da sponda a sponda, dunque, il canale se l’è fagocitato tutto. A niente sono serviti i clacson: “ti sbrighi?”, “vai cavolo!”, “fammi vedere: sicuramente è una donna!”. Il guidatore della Ever Given ha alzato le mani, si è affacciato al finestrino, si è girato verso la coda e ha detto “oh! più di così non va!”. Si fa per ridere, dai: il problema è grave e la perdita notevole di denaro altro non è che l’ennesimo colpo ad un’economia già molto compromessa dall’epidemia. Ritardi, costi che si accumulano e disagi: le navi container non trasportano solo i nostri giocattoli da adulti ma anche oggetti sanitari, dispositivi medici, combustibile e quant’altro vi sia d’essenziale. In coda, per l’appunto, anche petroliere che spostano gas liquefatto dirottate per l’occasione alla rotta africana di Capo di Buona Speranza. Ce le immaginiamo oltre 200 navi che fanno marcia indietro nel tratto egiziano? No, o almeno non quando compriamo on-line l’ultima cassa Bluetooth messa in commercio. I mezzi per liberare la portacontainer, comunque, sono già all’opera: si pensa di dover smuovere circa 15 metri di sabbia per permetterne l’incaglio e potrebbero volerci settimane.
Un’operazione delicata per la quale si è offerto di dare una mano Silvio Bartolotti, l'Amministratore delegato dell’azienda conosciuta per il salvataggio della Costa Concordia nel 2012 (Micoperi): come dire, c’è chi con i disastri navali ci sa fare. “Ah, ah, ah!” se la ride il Covid. “Che bell’anno anche questo eh?”. “Tiè”, gli rispondiamo noi, sfrontati come sempre anche quando le cose vanno palesemente male: perché un modo si troverà, è chiaro, seppur con tanta fatica e molti, e dico molti alti e bassi. Fa ridere, l’immagine diventata simbolo di questa disavventura: una piccola gru che scava ai lati del canale, che diventa minuscola se paragonata alla enorme nave che le giace di fianco. Il web si è scatenato di meme, dove lo scatto in questione viene proposto usando la portacontainer per simboleggiare un disastro e la gru, così minuta, per rappresentare noi: che scaviamo senza sosta, forse inutilmente ma tentando comunque di risolvere il disastro, ognuno facendo il maestrino che poi però tra tanti sapientoni uno buono si trova sempre. E sì, ci voglio mettere della poesia in tutto questo! Qual è la morale della storia? Forse che non è più il tempo delle cose che filano lisce: forse è diventato tutto troppo denso, troppo caotico, troppo “tanto” e un solo progetto non basta, per nessun lato della nostra vita. È un mondo, questo, dove ci vuole sempre un piano B, e uno C e poi un D, E, F…. Non eravamo più avvezzi agli imprevisti, dalle grandi guerre in poi. Pensavamo, con Aushwitz e le foibe, di averle viste di ogni e invece, nelle diverse forme dettate da una modernità che cambia la conformazione del globo così come quella di noi stessi, tutto è ancora diventato fragile. L’inaspettato: è lui il padrone della nostra vita. Certo, in passato forse ce ne siamo accorti poco o comunque non tutti, immersi com’eravamo nel nostro benessere: quando però la salute ha scarseggiato e lo stipendio pure, abbiamo alzato la testa in coro. Chi già se ne era reso conto ha detto: “benvenuti nel club”. Chi ha rotto la sua ovatta si è spaventato e si è chiuso in se stesso, diventando o più cattivo o più buono a seconda della sua natura. Forse che eravamo divenuti troppo perfetti, tanto da essere sempre più intransigenti, con gli altri e con noi. Certo, anche in passato ce ne sono stati di imprevisti, dal ponte di Genova che crolla al terremoto di Amatrice, alla foresta Amazzonica che brucia: quello che manca in questo ultimo biennio, però, è il tempo per metabolizzare le cose. Oggi è l’era del tutto insieme, tutto veloce e di continuo anche nelle disgrazie, negli impedimenti: forse perché siamo noi stessi diventati quelli del tutto e subito? Ci hanno chiusi in casa e abbiamo cliccato all’impazzata su ogni sito: ora che la nostra merce arriverà in ritardo perché ferma a galleggiare sul mare, cosa faremo? Dell’altro pane? Forse un buon libro? Non ci resta che piangere, come diceva Troisi: o pregare, o arrabbiarsi. O aspettare, tutti insieme, rendendoci migliori nel frattempo: anche noi abbiamo un sacco di sabbia da toglierci da dentro, per poter finalmente tornare a galleggiare, e poi a nuotare, e poi forse a cambiare rotta.