Nell'album di famiglia di Max Verstappen ci sono più piloti che abbracci. C'è Michael Schumacher che gli accarezza la testa, Alain Prost che lo guarda sorridendo. C'è sempre papà Jos, in ogni momento importante di Max, presenza ingombrante prima di poter essere importante. Oggi alza le spalle, Verstappen, e dice che i metodi educativi del padre sono serviti per crescere un ragazzino difficile, testardo, per fare di Max un pilota pronto per il più duro dei teatri possibili.
A 17 anni già ballava da solo, solista arrabbiato, nelle piste più famose del mondo, come a dimostrare a quel padre troppo presente che lungo la strada verso il successo tutto era servito.
Nelle foto dell'infanzia di Lewis Hamilton invece, l'unico pilota è lui. Il meno facoltoso dei suoi rivali, il più talentuoso tra i presenti. Così outsider da essere diventato, nelle montagne russe della sua vita, il contrario di chi era. Inclusivo, precursore, primo in ogni cosa in cui si possa arrivare primi. Lo ha detto lui stesso, a pochi giorni da un Gran Premio che nel bene o nel male cambierà la sua vita, che quel bambino fuori posto oggi sarebbe fiero di chi è diventato.
Del Lewis Hamilton che un posto lo ha trovato e che, grazie a un padre che nella stessa durezza di Jos Verstappen ha trovato il modo di crescere un figlio, ha costruito il proprio mito. Ancora si ricorda il giorno in cui morì Ayrton Senna, Lewis, e si ricorda il pianto nascosto a papà Antony, che non voleva vedere lacrime sulle guance di un bambino che non si poteva permettere di piangere: "Ricordo di essere sceso dall'auto per sfogare le lacrime, papà dice che sono un segno di debolezza, poi mi sono asciugato alla svelta per tornare a preparare il mio go-kart e partecipare a una gara. Avevo nove anni".
Sembrano diversi in tutto, Lewis e Max. Uno che ha vinto qualsiasi cosa si potesse vincere, l'altro che ancora non ha vinto niente. Uno all'apice della sua carriera, l'altro all'inizio del viaggio. Uno che in Formula 1 ci è entrato quasi chiedendo scusa, l'altro che ha sfondato la porta principale. Generazioni a confronto, storie, reti sociali, comportamenti e inganni. Elenchi puntati di cose in cui non si assomigliano, questi due piloti che in comune sembrano avere solo la voglia di vincere un premio, un titolo, ma che alla fine non contano nulla perché nella grandezza, almeno in quella, tutti sono uguali.
Così si assomigliano i loro padri, presenti dove qualche volta avrebbero dovuto essere assenti, assenti dove serviva essere presenti. Così si assomigliano i loro mentori, Toto Wolff e Chris Horner. Che urlano, abbaiano, insultano, ma che poi tanto diversi non sono. Padri protettivi, giocatori egocentrici, persone.
E un premio non cambierà nessuno di loro. Non Jos, non Anthony. Non Wolff o Horner. E sicuramente non Max e Lewis. Non le loro battaglie, le loro vite, l'infanzia lasciata in salamoia chissà dove. Una vittoria e una sconfitta non separeranno ulteriormente ciò che già non si assomiglia.
Ma nella grandezza condivisa, quella che non si alza con i successi o si abbassa con le delusioni, lì forse alla fine di questo mondiale troveranno la loro terra di mezzo.