La scena migliore di Scarface è quella in cui Tony Montana si ubriaca al ristorante e litiga con la moglie. Sfatto, barcollante, si alza urlando contro i ricconi seduti a osservarlo scandalizzati e blatera: “voi avete bisogno di uno come me, così potete puntare il vostro dito del cazzo e dire: quello è un uomo cattivo. E dopo come vi sentite? Buoni? Voi non siete buoni, sapete solo nascondervi”.
Ecco l’America. Quella che “non è mai stata innocente” come scrive James Ellroy.
Ecco Donald Trump, settantaquattro anni, quaranticinquesimo presidente USA, il cattivo per eccellenza.
Ogni decade ha i suoi feticci, i suoi leader carismatici e i suoi buchi neri. Come nei film. È tutto un film alla fine, no? The Donald è il più odiato, il più sconcertante, il più scandaloso, il più negativo dei leader mondiali. C’è del vero nelle condanne che gli vanno dedicate, così come c’è dell’altro.
Paragoniamo The Donald ad Al Pacino in quel film con cui abbiamo iniziato. Grazie a Trump possono esistere il diritto di manifestare contro Trump delle star di Hollywood, i discorsi infervorati delle celebrities scandalizzate, le folle che protestano nelle città, i nuovi volti dell’opposizione che si lanciano in arringhe di rivalsa. E soprattutto l’America può continuare a tenere il suo primato di paese leader del mondo. Attenzione, parliamo di un Paese che centocinquantanni fa era una terra di nessuno, una landa di bifolchi e spiantati, e che in un secolo si è preso tutto quello che c’era da prendere. È il loro ingegno ossessivo che li rende così affamati di conquista. Così sboroni.
Se il mondo fosse una fica, l’America sarebbe il cazzo che la penetra e la feconda. Con i pro e i contro che questo comporta.
Tornando al presidente, se lo consideriamo un cattivo non possiamo evitare di visualizzarlo come l’emanazione della cattiveria dei suoi elettori. Trump non ha usurpato il trono o rubato le elezioni, è diventato presidente perché ha detto: make America great again. Armi di facile accesso per tutti, divieto di entrare ai musulmani, muro con il Messico, dazi doganali e minacce a chi non produce sul suolo statunitense ma delocalizza fuori. Bingo, ecco i temi con cui vince la campagna elettorale. Al di là del bene e del male, ecco quello che comporta la democrazia, visto che è questo volevano sentirsi dire gli americani che non scrivono sulle colonne del Times o non vivono a Williamsburgh.
Donald Trump è buono o cattivo? Risposta: chi se ne frega. È un presidente americano. È il presidente di uno dei paesi più contraddittori del mondo. Un paese dove si inneggia alla giustizia e si condanna a morte la gente. Un paese dove la giuria del processo è composta dai concittadini, dai ma che roba è? Un paese dove un presidente si dimette per un bocchino. Un paese dove se sei nero i poliziotti ti ammazzano e hai voglia a manifestare ma è sempre stato così. Ma vagli a togliere la loro economia forte, la loro industria culturale, la loro figaggine e stai a vedere come rimangono. Trump poco prima di essere eletto disse: “potrei scendere con un fucile sulla Fifth Avenue e aprire il fuoco sulla folla, e sai una cosa? Vincerei lo stesso”. Era vero. Sapeva che gli americani avevano bisogno del cattivo per continuare a dominare il mondo. Avevano bisogno del suo protezionismo, della sua arroganza, della sua scelleratezza.
The Donald è raccontato bene in un documentario che potete vedere col vostro abbonamento da 7,99 usato solo per le serie tv su Netflix, in “Trump: un sogno americano”, orchestrato in quattro sconcertanti episodi sulla sua biografia. Figlio di un imprenditore immobiliare con il pallino di fare meglio del padre, riesce a costruire un impero puntando su operazioni mediatiche (la Trump Tower è l’equivalente della costruzione di una piramide per un faraone in vita) e la fondazione di casinò a Atlantic City e Las Vegas.
Ma la svolta sono il suo libro “L’arte degli affari” e l’approdo in tv per The Apprentice, lo show Nbc a cui lavora per molti anni. La gente sbrocca con quel suo modo di fare e la fatidica frase: “you’re fired”, sei licenziato. Poi arrivano le donne e le voci sulla quantità e il mito cresce. Soldi, donne, potere. Ahhhh.
Sempre Ellroy scrive in American Tabloid: «La vera Trinità era: Piace, Spaccare il Culo e Scopare». Ecco The Donald.
Trump è il primo presidente dell’era digitale, che ha compreso il dogma: renditi un brand. Sii una frase su una maglietta, sii un simbolo. A loro non fotterà niente di quello che succede, la “gente vuole combattere e scopare, combattere e scopare” (come dice il Ray Manzarek di Oliver Stone, in The Doors, il film). Che si occupino uomini come lui delle sorti di questo mondo di cui non sappiamo niente. Facciamo tutto per darci un tono, esprimiamo consenso e dissenso, ma poi ci girano le palle perché il tipo non vuole fare un figlio, o la tipa ti pungola sui punti deboli. Chi cazzo se ne frega nel suo intimo di Trump? Giusto gente come Franzen che deve rilasciare interviste colte ai giornali per collocarsi sul mercato come uno scrittore impegnato. Se siete davvero interessati a contrastarlo andate a lavorare su una ONG, andate in Africa, fate volontariato, ma non rompeteci i coglioni.
Al posto di Trump potrebbero esserci Gargamella, Saddam, Padre Pio, Neo di Matrix. Sarebbe la stessa cosa. Cito ancora Ellroy “Jack Kennedy spargeva merda in modo abile e aveva un bel taglio di capelli. Venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità”.
La politica di Trump è sfrontatamente aggressiva e incline ai cambi repentini. Minaccia e porta a termine guerre commerciali, licenzia il capo dell’FBI e il segretario di Stato, riconosce Gerusalemme capitale di Israele buttando benzina sul fuoco in un conflitto diplomatico già teso. Di cose buone ne ha fatte forse un paio: gli accordi con la Corea dello sballato Kim e l’aumento dei salari. Il dissenso sul trattato di Parigi spero sia solo una tecnica di contrattazione. L’economia e l’occupazione con lui sono cresciute, ma il merito è anche delle amministrazioni precedenti. Sua moglie pare lo odi e lui la forza a sorridere nelle occasioni pubbliche. Per forza, chissà che vita pesante che fanno.
Il fatto è questo, è presto per giudicarlo. Vi ricordate George Bush ai tempi dell’11 settembre? Lo trattarono tutti come un cretino, era il feticcio di Male di quel decennio. Oggi Bono Vox lo va a trovare e posta la foto assieme a lui, il NY Times gli dedica uno speciale per la sua pittura e lo hanno rivalutato praticamente tutti. Le opinioni cambiano in base ai contesti. Parliamo di Donald tra vent’anni.