Gianni Agnelli, a cent’anni dalla nascita e a quasi venti dalla morte, continua a esercitare un grande fascino sugli italiani. Vittorio Feltri va controcorrente e, pur non mancando di rispetto, prova a smontare alcune parti della narrazione “mitologica” di colui che era “considerato una sorta di principe, perché era elegante, diceva battute sferzanti, era proprietario di una enorme fabbrica di automobili, e presidente della squadra di calcio, la Juventus, la più amata dal popolo. Ieri a Torino si è tenuto un convegno importante per commemorarlo e glorificarlo. Ovvio, dei defunti bisogna sempre parlare bene poiché non sono più qui a rompere le scatole”.
Feltri riconosce che Agnelli non era “un personaggio fastidioso, anzi, confermo che era stimato da quasi tutti, perfino dai suoi potenziali avversari. Ma – scrive su Libero – la sua biografia non è esaltante se esaminata senza pregiudizi tesi a dimenticare le debolezze del cosiddetto Avvocato. Il quale, se vogliamo essere sinceri, cominciò a lavorare a 46 anni, età in cui i suoi operai andavano in prepensionamento. Egli ricevette in eredità l’azienda torinese da Valletta, grande manager, e si trattava di una industria modello. In breve tempo, nelle mani di Gianni essa perse smalto e prese a zoppicare. Negli anni Sessanta iniziarono gravi difficoltà e dopo un po’ si rese necessaria la vendita di importanti quote di capitale addirittura a Gheddafi, che aveva molti soldi ma non certo una matura mentalità imprenditoriale. Davanti a questa operazione stravagante nessuno, tantomeno il governo, fiatò. Ciò che faceva il principe piemontese non era criticabile, era accettato come fosse opera del destino”.
Feltri prosegue: “Frattanto l’Avvocato, che non ha mai esercitato l’attività forense, fu eletto presidente di Confindustria. E si rese responsabile di una puttanata storica: il famoso punto di contingenza concordato con Luciano Lama, sindacalista comunista ingentilito dalla pipa perennemente nella sua bocca. Ci volle Craxi che indisse un referendum per annullare l’assurda legge. Gianni non mosse un dito e decise di acquistare Palazzo Grassi a Venezia, nei cui vani erano accatastate varie opere d’arte. La gestione di questo museo fu disastrosa cosicché esso fu ceduto. In ambito famigliare ad Agnelli le cose non andarono meglio, infatti il figlio Edoardo un giorno si tolse la vita gettandosi da un ponte dell’autostrada. Intanto la Fiat ebbe una crisi mostruosa. I tempi di Valletta erano ormai troppo lontani. La salute del signor padrone peggiorò fin quando un dì egli spirò lasciando le briglie della società al fratello Umberto, persona capace e di talento. Sorvolo sui dettagli. Dal punto di vista tecnico-finanziario l’impresa finì sotto il controllo di Gabetti, un genio, il quale per rimettere in piedi la baracca assunse come capo assoluto Marchionne che compì il miracolo di aggiustare sia i conti sia la produzione delle auto. Oggi la Fiat è un colosso mondiale, senza l’Avvocato nostro. Ci sarà un motivo”.
Per Feltri tutto questo “non significa disprezzare il mitico Agnelli, che tutti abbiamo ammirato, semplicemente è il racconto della verità”.