Fotografo di guerra e non solo. È così che potremmo definire Gabriele Micalizzi, reporter acclamato dalla critica, collaboratore fisso di alcuni tra i più impotanti magazine al mondo (Le Monde, Figaro, New York Times solo per citarne alcuni), ma anche "macchina" di fiducia di alcuni tra i più noti volti del panorama musicale italiano: Marracash, Madame, Gue Pequeno e Salmo, ad esempio.
Osservando le sue foto, la reazione più frequente è una sensazione di turbamento. Un caso o qualcosa di ricercato? “Beh nel mio biglietto da visita c’è scritto ‘Il disagio è il mio business’ ed è vero. Partendo poi dal mio background, quella sorta di sgradevolezza è una sensazione che conosco bene e che a un certo punto ho trovato anche un output, uno sfogo. Ho cominciato con i graffiti e poi con i tatuaggi per poi finire con l'essere un fotografo. Quindi sì io sono una persona che cerca la parte marcia”.
Un percorso che è iniziato con esprienze del tutto estranee al mondo del'arte, come un prolungato periodo di permanenza in Australia. Un momento della vita di Gabriele che si collega curiosamente a un divertente aneddoto raccontato da Mike Tyson nelle ultime ore. L'ex puglie ha, infatti, avuto modo di descrivere, nel corso della partecipazione a un noto podcast statuintense, le sue disavventure con il veleno dagli effetti psicotropi rilasciato da un rospo, con cui aveva avuto modo di entrare in contatto. Qualcosa di simile a un episodio accaduto anche a Gabriele e che ha rischiato di mettere addiittura a repentaglio la sua carriera in qualità di fotografo: “Ai tempi lavoravo in Australia e per avere il secondo visto lavoravo nei nei campi. Facevo il "digger": scavavo buchi e canali per l'irrigazione. Un giorno, mentre lavoravo è saltato fuori uno di questi rospi velenosi e un mio collega ha cercato di ucciderlo. Vedendo quella scena mi sono frapposto tra lui e quel povero animale, con il risultato di ricevere una "spruzzata" di veleno che il rospo aveva utilizzato giustamente contro di noi a scopo difensivo. Lì per lì non ci ho fatto caso, ma dopo qualche istante sono stato preda di un forte dolore alla base della testa, nella zona del cervelletto. Non riuscivo più a parlare e sono stato portato all’ospedale. Il dottore che mi ha visitato mi ha spiegato che ero stato estremamente fortunato perché il veleno mi aveva colpito in un occhio e avrebbe potuto corrodere la mia retina. Ho dovuto aspettare 8 ore prima che l’effetto passasse e smettessi di sentirmi come fossi strafatto”.
L’occhio era lo stesso coinvolto in un altro episodio che ha portato Gabriele agli onori della cronaca. Micalizzi si trovava in Siria per documentare le fasi finali del conflitto che ha visto sconfitto l'ISIS, quando venne colpito da un razzo RPG rischiando di morire: “Il razzo ha colpito il soldato che mi stava accanto e a me sono arrivate delle schegge addosso, colpendomi il volto”. Un attentato che l'ha visto seriamente rischiare di perdere proprio lo stesso occhio che l'aveva tenuto col fiato sospeso in Australia.
I reporter di guerra producono arte? Difficile dirlo, secondo Gabriele: “È una bella domanda, complicata. Però sicuramente c’è qualcosa che succede, sicuramente c'è il tentativo di rendere in qualche maniera bello il brutto o comunque di non limitarsi a documentare. Io fotografo situazioni reali, difficili e socialmente complicate che però sono Storia; questo mi dà la forza per trovare il compromesso".
Un lavoro completamente diverso riguarda, invece, i suoi lavori come ritrattista o fotografo di moda: “Sì io ho due livelli di concetto: quando devo fotografare qualcuno devo capire chi è, studiarmi le sue interviste precedenti, in modo da capire e poter entrare nella sua testa. Se tu guardi l’intervista a Marracash che è uscita di recente per Rolling Stone e per cui ho scattato la cover, tutto è incentrato sul tema della distruzione della persona. È per questo he il mio lavoro riguarda lo stesso tema, distruggere"
Ma Micalizzi è impegnato al momento anche con una serie tv. Una produzione Sky, la cui uscita è prevista per il 2022 dal titolo “Blocco 181” e di cui al momento è dato sapere solo che lo scenario è la periferia di Milano.
In questo caso, oltre ad essere il fotografo di scena, Gabriele ha svolto anche un ruolo come consulente per gli sceneggiatori e la regia, potendo vantare una profonda conoscenza del terrirorio, grazie anche ai numerosi lavori svolti in compagnia delle forze dell'ordine, proprio nelle periferie milanesi, nell'ultimo anno.
Al momento Micalizzi è dunque impegnato in Italia, però dovrebbe andare il 24 dicembre in Libia per le elezioni.
Il fotografo è stato anche a Barcellona, casa natale del brand Cupra, una città mediterranea, piena di energia e di innovazione, come i modelli del brand, e l’atmosfera per un fotografo diviene fonte di ispirazione: “Sì facendo il fotografo giornalista, la base per me è raccontare quindi la location dà degli input che bisogna essere pronti ad accogliere. Anche Milano sta vivendo un periodo interessante, gli artisti sono tutti qua.”
Dunque, l’effetto lockdown può essere trasposto nelle fotografi con il fotografo imprigionato nel suo ruolo? “Certo, come no. Tu vieni identificato come fotografo di guerra e fai quello. In realtà io sono un caso un po’ anomalo perché spazio da essere fotografo di guerra a cose più commerciali, ma quello è perché ho un background più artistico e multidisciplinare quindi sai il fotografo di guerra conosce il fotogiornalismo ma non ha un background artistico è vero, ma io voglio essere anche altro.”
Se sia possibile essere artisti negli scenari di guerra lui non lo sa dire “È una bella domanda, complicata. Però sicuramente c’è qualcosa che succede, rendere brutto il bello” Io fotografo situazioni reali, difficili e socialmente complicate che però sono storia; quindi, questo avere la storia in testa mi dà la forza per trovare il compromesso.”
Per quando ha dovuto fotografare Marracash per Rolling Stone, Gabriele ha spiegato sui social il procedimento su come si sia arrivati creare quell’immagine, con un riferimento velato a Bansky, avendo poi tritato l’immagine del rapper e rimessa insieme “Sì io ho due livelli di concetto: quando devo fotografare qualcuno devo capire chi è, studiarmi le sue interviste precedenti in modo da capire e poter entrare nella sua testa. Se tu guardi l’intervista è tutto sulla distruzione della persona, quindi ho fatto un lavoro di distruggere, ci sono più artwork perché secondo me bisogna aggiungere dei livelli perché lui ha più personalità. Sicuramente il richiamo a Bansky sì perché lui ha questa dell’arte che diventa sempre più digitale perché la storia passa per gli oggetti quindi fare una copertina fisica in un mondo digitale vuol dire qualcosa. Il lavoro ha richiesto tempo, circa un mese e mezzo. Il momento migliore in cui mi vengono le idee è quando sono in macchina e guido.”
Micalizzi è impegnato al momento con una serie tv di Sky prevista per l’anno prossimo “Blocco 181” di cui al momento è dato sapere solo che lo scenario è la periferia di Milano. In questo caso oltre ad essere il fotografo ha fatto anche il consulentedel terrirorio essendo una realtà che ben conosce avendo cominciato come scattino a Milano cosa che gli ha permesso di conoscere la città per poi lavorarvi di più dopo essere rimasto ferito in Siria.lavorare di più a Milano, facendo la storia sulla squadra omicidi e poi altre stories con le gang latine per cui Sky gli ha chiesto di fare il consulente del territorio.
L'intervista completa è disponibile sulla pagina Instagram di MOW e su motofestival.moto.it.