C’era una volta la guerra fredda tra superpotenze mondiali, che si esprimeva anche in una frenetica corsa allo spazio. Ora invece ci sono delle guerre stellari caldissime tra miliardari, ciascuno dei quali punta ad andare in orbita prima degli altri per dimostrare di avercelo più lungo, più grosso o comunque più performante. Il razzo. Tra i principali litiganti, Elon Musk e Jeff Bezos, sembra essersi inserito Richard Branson, che, anzi, sembrerebbe essere passato in testa con un’accelerazione improvvisa, sovvertendo all’ultimo l’ordinamento dell’intraprendenza tra magnati.
Il patron britannico di Virgin (in questo caso di Virgin Galactic) ha annunciato infatti di essere pronto al lancio (meteo e altro permettendo) per l’11 luglio, ossia nove giorni prima rispetto al fondatore di Amazon e Blue Origin, che finora stava gongolando in vista della prospettiva di diventare il primo privato cittadino ad andare in orbita, con buona pace del rivale e boss di Tesla (e SpaceX).
Il decollo dello “spazioplano” di Branson, SpaceShipTwo, attaccato alla pancia del velivolo madre White Knight, è previsto in diretta tv dal New Mexico. A bordo, oltre a Branson, tre ingegneri Virgin e due piloti (tra gli otto disponibili c’è pure un italiano, il friulano Nicola “Stick” Pecile). White Knight trasporterà il superjet (nome in codice Unity) fino all’altezza di circa 15 chilometri, dopodiché il razzo alato raggiungerà per conto suo quota 80 chilometri, determinando per i passeggeri quattro minuti di assenza di gravità prima di avviare la lunga planata verso terra.
“Una cosa è sognare di rendere lo spazio accessibile a tutti, un’altra è riuscire davvero a tradurre il sogno in realtà”, il commento di Branson, che ha risposto “Jeff chi?” a chi gli domandava se il lancio fosse stato anticipato per soffiare il primato a Bezos. Il patron di Amazon, salvo ulteriori sorprese, dovrà quindi accontentarsi della seconda piazza in questa tenzone tra ego stratosferici: il suo turno è stato fissato per il 20 luglio, 52° anniversario dell’allunaggio dell’Apollo 11. Su New Shepard (la navicella di Blue Origin) dal Texas oltre a Jeff partiranno il fratello Mark, uno straricco di cui al momento non si conosce il nome che all’asta si è assicurato il biglietto per 28 milioni e l’ottantaduenne Wally Funk, una delle tredici donne che mezzo secolo fa erano state inserite nel (mai realizzato) programma “Mercury 13” per la parità di genere in orbita: per loro l’assenza di gravità durerà tre minuti.
Bezos potrebbe comunque ribaltare nuovamente il risultato, almeno per quel che riguarda gli annali ufficiali: c’è da capire se lo spazio inizi a quota 80 chilometri (come dicono Federal Aviation Administration e Us Air Force) o a 100 (come per le convenzioni internazionali).
E Musk? A settembre porterà tre turisti in orbita, ma non vuole tanto essere il primo privato cittadino nello spazio (titolo ormai sfumato), quanto il primo terrestre sul pianeta rosso. Almeno a parole. Al di là della corsa a chi arriva primo, per tutti e tre i big su questo settore sussistono interessi miliardari: “Virgin Galactic – riferisce Repubblica – vale a Wall Street 11 miliardi, conta in tempi non troppo lunghi di incassare un miliardo l’anno portando turisti nello Spazio (prezzo previsto del biglietto 250 mila dollari) e ha venduto per 500 mila dollari un volo all’Aeronautica militare italiana e al Cnr per esperimenti in condizioni di microgravità. La Blue Origin di Bezos ha in carniere contratti da 500 milioni con l’esercito Usa e ricche commesse della Nasa”. Quanto a Musk, con SpaceX è molto più avanti dei rivali nel business della space economy. La compagnia – valutata sul 74 miliardi – ha messo in orbita 1.500 satelliti della costellazione Starlink, l’internet satellitare del tycoon. Il Crew Dragon ha già trasportato nove persone con tre voli alla stazione orbitante e ha vinto un maxicontratto con la Nasa (battendo Bezos) per costruire il nuovo modulo lunare”.