Aveva conquistato il maggior riconoscimento letterario italiano nel 2011 con Storia della mia gente, Edoardo Nesi. Raccontando di piccoli imprenditori toscani a lui vicinissimi, geograficamente e dal punto di vista affettivo, poneva allora l’accento su una globalizzazione che andava via via annientando tutte quelle piccole realtà commerciali di provincia e non.
A distanza di quasi 10 anni, con “Economia sentimentale” – edito da La Nave di Teseo – Nesi resta di fatto sulla stessa linea societaria, sistemica e narrativa, dipingendo una quotidianità falcidiata dalla pandemia di coronavirus: piccoli imprenditori tessili, partite IVA, freelance, commessi, ristoratori, economisti, finanzieri, industriali, commercianti, baristi e disoccupati. È l’Italia che annaspa a prendersi il ruolo di protagonista corale del romanzo, un viaggio nelle vite di persone che, assecondando una netta intenzione dell’autore, quasi la oscurano la pandemia, mettendosi al centro assoluto della scena con le loro quotidianità, le loro difficoltà, idee e comunque sempre le loro speranze.
Ancora una volta le disparità regnano sovrane, le stesse che conducono il racconto a muoversi verso l’evidenza rappresentata dalle cosiddette FAANG – Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google – che incassano miliardi su miliardi in più sulla scia della pandemia. Proprio sulla base di questa stortura – che Nesi stesso ha vissuto in prima persona, in quanto ex imprenditore – si srotola un racconto fluido che non mira al lamento fine a se stesso, bensì all’obiettivo – nobile, utopistico e romantico al contempo – di trovare una soluzione.
«Verrà istituzionalizzato il reddito universale, – spiega in una delle pagine del romanzo il finanziere Guido Brera, immaginando un mondo post-coronavirus – l’avremmo dovuto fare comunque, ma la pandemia l’ha accelerato. Bisogna prepararsi a milioni di disoccupati, in tutto il mondo. Del resto, una società basata sulla tecnologia non può essere inclusiva, ormai non ci crede più nessuno. Tutti coloro che ne saranno esclusi, milioni, dovranno essere aiutati».
Ma perché l’economia nel titolo di una raccolta di storie? Perché – si legge tra le pagine del romanzo – “l’economia è certamente la più adatta di tutte le discipline a raccontare la sostanza delle nostre vite, il fervore dei nostri sogni e la miseria delle nostre paure, una stupefacente generatrice di storie e di speranze, lontana anni luce dal gelo tagliente dei numeri coi quali si usa raccontarla.”
Un’economia che si trasforma in persone e persone che si trasformano in un romanzo: la stessa equazione alla base di Storie della mia gente e di certo uno dei meccanismi narrativi che appaiono, alla luce dei fatti, tra i più apprezzati dalla critica nostrana.
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