Come quando entrava in classe il preside. Lo stesso silenzio che crolla dall'alto, simile a un sipario dai fili recisi, e il contagio di sguardi spauriti laddove prima dominava lo smargiassume. Vi piaceva vincere facile, eh?
È questo il vero Effetto Draghi. Altro che spread, altro che prospettiva di governabilità, altro che credibilità recuperata agli occhi dell'Europa nella prospettiva di gestire il Recovery “Fàund” (che manco a pronunciarlo sono capaci). È la reazione di subitanea mansuetudine mostrata da tutti, indistintamente, il vero prodigio compiuto dal premier incaricato. Tutti gli scalmanati si sono chetati, tutti i leoni si sono ovinizzati. La vera immunità di gregge.
Ora mostrano una flemma che suona autentica quanto l'inglese pronunciato dal rottamato di Rignano sull'Arno. È finita la ricreazione, hanno smesso di bullare la supplente. Anzi, adesso gli sguardi e le fronti disegnano il corruccio dei momenti più gravi. Quelli che tutti abbiamo vissuto almeno una volta durante gli anni di scuola. Quando, appunto, dopo un eccesso più eccesso di altri si presentava in classe il capo d'istituto per riaffermare l'autorità costituita. E a quel punto, oltre allo spiazzamento (“férst riàcscion, SCIÀCC!”) correvano fra tutti lo sguardo ansioso e la frase non detta: “Minchia, stavolta l'abbiamo fatta grossa...”.
Non siamo fra quelli che credono nelle virtù salvifiche dell'ex presidente della Banca Centrale Europea, così come non abbiamo mai creduto né crediamo nelle virtù salvifiche di chicchessia. Ci piacerebbe soltanto avere buoni governanti che facciano bene il mestiere cui sono chiamati. E per questo motivo troviamo stucchevole questo unanime coro di elogi che copre Mario Draghi come trovammo stucchevoli analoghe reazioni ai tempi in cui vennero nominati premier Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 e poi Mario Monti nel 2011 (a proposito di quest'ultimo, ricordate i fiumi d'inchiostro spesi sulla sobrietà del suo Loden?).
E tuttavia vogliamo ringraziare il presidente del consiglio incaricato almeno per una cosa: avere trasformato il gorillaio in ovile. È bastato circolasse il suo nome perché lider maximi e capitani tornassero caporali e scoprissero tardivamente le virtù del silenzio e della misura. Ciò di cui tutti si sono giovati. A partire da Zingaretti, che adesso può tornare nella comfort zone dove ci si può permettere di non aprir bocca limitando i danni. Per continuare con Salvini, che dai social manda un videomessaggio in bottiglia sperando che Draghi lo stia ascoltando e in questi giorni sfodera toni da Ugo La Malfa. Ma anche Grillo, che nell'ora più grave dismette il piglio anti-politico e anti-tecnocratico e gli fa la telefonatina, illudendosi di poter salvare insieme le sorti della nazione. E l'emiro di Italia W che lo definisce addirittura “una polizza assicurativa”. Persino Meloni, che per qualche ora ripone i toni e le ghigne da Chucky e dice che Fratelli d'Italia potrebbe astenersi.
Meloni che si astiene? Lei che brandisce il machete pure quando si tratta di scegliere fra zucchero bianco e zucchero di canna? Diteci che è tutto vero. E che per lei come per tutti gli altri non si tratta di una nuova versione dell'italico trasformismo, ma di una nuova formula politica del laboratorio nazionale: il trasfigurazionismo. Un esercito di protagonisti che mestamente cambiano maschere e rientrano nei ranghi di comparse. Perché è arrivato l'uomo forte. Forte non di una forza intrinseca, ma proiettata dall'altrui cialtroneria.