Non ricordo di ragazze comuni che dopo aver confessato di aver subito uno stupro decidono di metterci la faccia. Siamo abituati a sentire denunce di questo tipo da donne famose o comunque già note, non ho memoria invece di due ragazze semplicissime che si mostrano con i propri volti informando così di essere loro le vittime di cui tutta Italia parla. Come se, nonostante siano loro le vittime, si debbano comunque nascondere, comunque restare vittime anche nell’esposizione mediatica. E apparire al massimo di spalle, con la voce camuffata. Invece no. Ylenia e Martina hanno deciso di rompere questa regola. E, per la prima volta, due delle ragazze che accusano Alberto Genovese si sono fatte vedere. Nell’intervista che gli abbiamo fatto hanno parlato di chi sono, della loro storia, di quali leggerezze hanno commesso, delle ingenuità e degli errori di valutazione che le hanno portate in un brutto giro, fino al letto di Genovese, dove la magistratura stabilirà cosa e come è successo.
Facendosi fotografare da Ray Banhoff e rispondendo alle mie domande hanno dimostrato coraggio, forza, quel coraggio e quella forza che a loro, Martina e Ylenia, 22 e 20 anni, sono mancati per allontanarsi da Genovese prima che la situazione degenerasse. E lo hanno fatto per un motivo, per dire e per urlare a tutti che quello è successo a loro potrebbe succedere a chiunque, a vostra figlia, sorella, anche a te. Molto di voi penseranno di no, che a voi non può capitare, perché avete una educazione severa, perché sapete quali sono i limiti, perché vostra figlia la chiamate cinque volte al giorno, perché perché perché... Ma le storie di Martina e Ylenia ci dimostrano il contrario. Due ragazze che arrivano a Milano per crescere, per essere più indipendenti, per diventare donne e realizzare il sogno di diventare modella (Ylenia) e art director (Martina). È una colpa questa? Hanno una famiglia, genitori vecchio stampo, madri severe, un giro di amici sano, eppure... Eppure a loro è successo. Martina dice: per colpa della curiosità e dell’ingenuità. Ylenia dice: io non credevo potesse esistere il male. Ma anche qui, l’ingenuità e la curiosità possono mai essere una colpa, in particolare a 20 anni?
Con queste foto e con le parole che dicono, dimostrano che stanno attraversando il dolore tutto, fino alla fine, e che questa fase così complicata (Martina non ha mai trovato la forza di raccontare quello che è successo ai suoi amici e a sua madre per paura di deluderla) hanno deciso di affrontarla superando la propria paura e noi - in accordo con loro - le abbiamo ritratte uscendo dallo stereotipo classico delle vittime che fa parte del nostro immaginario, dove chi subisce violenza deve essere per forza di spalle, deve avere per forza un viso triste, deve per forza essere costretta in un angolo. No. Martina e Ylenia, nonostante ciò che è accaduto loro, sono due giovani che hanno tutto il diritto di superare questo momento, di tornare a essere spensierate, di abbracciarsi e di ridere. Come le si vede nelle foto e come si percepisce dall’intervista.
Il male non sono loro. Il male è un sistema. Il male è una parte di Milano che le accoglie e le fa finire in un vortice in cui perdono la lucidità. Alberto Genovese è un archetipo, è l’estremizzazione di un comportamento sociale degenerato, perché entrambe le ragazze hanno esagerato per colpa di Alberto, ma la droga l’hanno conosciuta in contesti molto più a portata di mano (a Martina, la prima volta, è stata addirittura offerta da un suo professore universitario).
Per questo i messaggi che mandano Ylenia e Martina sono così incisivi. La droga? “Mai più, perché pensi di poterla controllare ma è il contrario”. Il senso di colpa? È umano averlo, ma “dobbiamo andare avanti e non vergognarci”. Le feste? “Noi, come tutte, volevamo solo divertirci e fare nuove esperienze”. Le accuse di essere delle escort o ragazze facili? “Mostrando la faccia avrò più possibilità di difendermi e spiegare che quello che è successo a me può succedere a chiunque”. Nascondersi non serve a niente. È questo un altro aspetto fondamentale. Si deve nascondere chi ha fatto qualcosa di male, non chi il male l’ha subito e attraverso il suo messaggio può trasmettere coraggio, maturità, forza.
Sulle cover dei giornali, spesso, siamo abituati a vedere i cattivi esempi. I grandi fotografi hanno fotografato i grandi killer. Gli scrittori e le serie elevano a leggende delinquenti internazionali. Qui tutto si ribalta. Oggi diamo spazio e voce a chi è caduto in una trappola, ne è rimasto vittima, e ha la determinazione di voler urlare all’Italia che, rifiutando di nascondersi ancora, potranno evitare che al posto loro possa finirci chiunque. Anche nostra figlia, le nostre sorelle. Anche te.