A vedere Mancini mi è venuto da piangere. Non ce la faceva nemmeno a esultare. Piangeva lui e quasi piangevamo noi. Piangeva mentre abbracciava Vialli, un abbraccio più lungo, consapevole, definitivo di quello dopo il gol di Chiesa all’Austria. Ora è facile dirlo ma sono sempre stato manciniano. Lo reputavo interista prima ancora di diventare allenatore dell’Inter. Con quella faccia nostalgica, quell’eleganza. In campo, in panca, nella vita.
Non ho mai visto giocare l’Inter così bene come la sua prima Inter. Ci rimasi malissimo quando Moratti lo fece fuori. Senza di lui il Triplete di Mourinho non sarebbe stato possibile e questo non gli è mai stato riconosciuto abbastanza. Poi è andato al City e anche lì ha portato un popolo alla vittoria. All’ultimo secondo dell’ultima partita. Tre anni fa ha preso la Nazionale e ha visto quello che nessuno riusciva a vedere: un percorso. E ha fatto quello che in Italia nessuno fa mai: si è affidato ai giovani, con due sole eccezioni. Solo due, Bonucci e Chiellini.
E ora trovatemi un’altra cosa, non dico solo un altro sport ma proprio un’altra cosa, che ci unisce e ci porta in piazza come fa la vittoria di un Europeo o un Mondiale. In tutte le città nella stessa notte. Il merito se ci riconosciamo così bene nella Nazionale è suo.
È anche di Chiellini, certo, che ha chiuso tutti, ha salvato su Sterling alla fine del secondo tempo supplementare, ha fermato Saka trattenendolo per la maglia, ha catturato Bonucci dopo il gol e alito alito ha condiviso con lui l’urlo del pareggio. Ecco, Bonucci, è anche suo il merito, che finalmente ha potuto mostrare la sua esultanza in faccia a Wembley: guardatemi bene in faccia. Guardateci bene in faccia. Come godiamo. Come non molliamo. È anche di Donnarumma. Che ci fa al Milan uno così? È giusto che vada in una squadra che può vincere tutto, se la merita, così come merita i 16 milioni a stagione, se il calcio è un’industria che muove i milioni (come è) e fa impazzire milioni di persone in giro per il mondo (come fa), be’, sì, se li merita. È anche di Jorginho, di Chiesa, del tiraggir di Insigne, che siamo noi, gli italiani, tutti ricercatori del colpo a effetto sul secondo palo. È anche di perfetti sconosciuti come Pessina, Cristante, Locatelli, Spinazzola.
Ma soprattutto è suo: di Roberto Mancini. Che si è circondato di amici, Vialli, Evani, Lombardo, Oriali, Salsano. Che ha scelto De Rossi come assistente della squadra, uno che sa come si soffre, come si rinasce, come si festeggia. È merito di Mancini che, appunto, ha investito sui giovani, ha creduto in loro. Perché aveva bisogno di giocatori da plasmare alla sua visione. E ha creduto nel percorso. Non ha sbagliato niente il Mancio. Incredibile, niente. Un cambio, una formazione, una parola. Niente. Difficile sarà ripetersi. Fin qui tutto si è incastrato e trovare per una seconda volta questa alchimia sarà dura. Ma chissà. Ma intanto godiamoci questi giorni, questi anni. Siamo campioni d’Europa.
Ieri su MOW abbiamo fatto una cover con il titolo: Andiamo a prenderci Londra. Bene, ce la siamo presa. Grazie Mancio. Grazie ragazzi. Inchinatevi alla regina: l’Italia. L’Italia tutta. Avrete tempo per tornarci a dare dei mafiosi, dei furbi, di tirare fuori tutti i luoghi comuni che siamo bravi, bravissimi a fomentare. Però per settimane, mesi, anni inchinatevi.