È stato arrestato in Brasile il superlatitante Rocco Morabito. Che conseguenze può avere sulle dinamiche del crimine organizzato? E sul traffico di cocaina? Di questo e molto altro – come dell’incidenza dell’omosessualità tra le cosche – abbiamo parlato con Klaus Davi, che oltre a essere un esperto di mass media e comunicazione negli ultimi anni si è specializzato pure nello studio (anche sul campo) della mafia calabrese. Studio che, iniziato nel 2015, si è concretizzato nella pubblicazione di un libro per Piemme: “I killer della ’Ndrangheta”.
Morabito era stato già arrestato nel 2017 in Uruguay, ma era riuscito a evadere prima dell’estradizione. Succederà anche stavolta?
No – dice Davi – escludo che questa volta possa fuggire: era un altro Stato e avranno fatto tesoro dell’esperienza precedente. Qui siamo in Brasile, c’è un altro assetto politico, c’è Bolsonaro che già aveva consegnato Battisti, quindi escludo una fuga.
Chi è (o chi era) Rocco Morabito?
Nato ad Africo (Reggio Calabria), poi a Milano è diventato il capo del narcotraffico. Il signore della coca. Da trent’anni era il narcotrafficante della Milano bene, della Milano del quadrilatero, quello che coordinava tutto il narcotraffico assieme con i Nirta, quelli di San Luca, passando per i porti olandesi prevalentemente, ma anche per Livorno, Genova e ovviamente Gioia Tauro. Poliglotta, parla quattro lingue, donnaiolo, molto molto vestito bene. Lo conobbi a Milano nei primi anni Novanta: aveva un tavolo fisso al Nepentha, sempre circondato da modelle e bellissime donne, aveva ottime relazioni, e già allora parlava un inglese perfetto. È stato il prototipo di ’ndranghetista viveur, e smerciava la droga in tutta Milano centro, da via Montenapoleone a via Manzoni. E continuava a farlo secondo me anche dal Sud America. Il suo primo tesoro l’ha creato vendendo droga ai milanesi, che sono i primi clienti della ’Ndrangheta, non dimentichiamocelo. E aveva raccontato che i milanesi volevano solo la coca di prima qualità, purissima.
Era davvero il secondo ricercato italiano più importante dopo Matteo Messina Denaro?
Sì, senz’altro. Non ci speravo che l’avrebbero preso, perché comunque aveva molti appoggi politici, che evidentemente sono venuti meno. Perché quella gente non la catturi «solo» grazie alla bravura dei carabinieri, ci vuole anche che vengano meno le coperture, e lui ne aveva avute per trent’anni. Adesso evidentemente sono cadute ed è stato possibile tra le polizie collaborare e portare a casa il risultato.
Coperture di che tipo?
Di tutti i tipi. Calabresi, milanesi, italiane e sudamericane. Vendendo droga al quadrilatero sapeva tutto di tutti e sicuramente avrà avuto degli appoggi anche nella borghesia milanese: su questo io non ho dubbi. Uno che vende cocaina ha un potere di ricatto enorme: una volta che vendi cocaina a un grande manager (e cocaina vuol dire modelle, vuol dire escort, vuol dire trans), hai in mano la sua vita. Già allora Morabito aveva una mente politica e si vantava di dare la droga a esponenti delle forze dell’ordine. Già allora. Quindi figuriamoci il potere di questo qua. Dopodiché fu preso, ma ebbe la soffiata e riuscì a scappare. Da lì sarà andato prima di tutto in Spagna, come tutti i narcotrafficanti (Paviglianiti, Molinetti, Papalia).
Cosa può cambiare con questo arresto?
Intanto è una botta anche psicologica per la ’Ndrangheta. Lui aveva il mito dell’essere invincibile e ora mi pare che di invincibile non sia rimasto più nessuno. Poi comunque era l’anello di congiunzione sulla direttrice Sud America-Olanda-San Luca-Milano e aveva una grande credibilità: non è che un Rocco Morabito nasca tutti i giorni dal punto di vista criminale. Quindi è un colpo molto forte per la mafia calabrese e in generale per il narcotraffico. Che d’altra parte ovviamente non cesserà.
Chi potrebbe succedere a Morabito?
Qualche Nirta, qualche Strangio, ma anche i Mancuso di Limbadi sono molto forti in Sud America. Complicato individuare una persona fisica. Fare un nome sarebbe un azzardo: c’è da considerare che molti sono fidanzati o sposati con le figlie dei narcos di laggiù, quindi ci sono anche legami parentali con i sudamericani, che producendo la droga sono i più potenti al mondo. L’abilità dei calabresi è anche quella di creare legami di sangue.
Sarà una guerra o una trattativa?
L’ultima tendenza delle cosche è quella di mettersi d’accordo sulle figure. Non credo comunque che ci sarà un unico referente. In ogni caso non illudiamoci: il traffico di cocaina è così forte che non si può pensare di arginarlo, finché non cambiano le legislazioni, anche se quello che abbiamo avuto è un segnale importante da parte dei governi. Più che da quello italiano, che era già determinato, dai governi del Sud America. La botta e il segnale sono forti così come nell’immaginario era forte il potere di Rocco Morabito.
“I killer della ’Ndrangheta” tratta anche di questi temi?
Nel libro si trova una narrazione del mondo della ’Ndrangheta più antropologica, più culturale (perché è una cultura, non è una sottocultura), più criminale e psicologica e meno poliziesca, perché secondo me la ’Ndrangheta va molto oltre le operazioni di polizia: è un fenomeno antropologico, culturale e soprattutto politico. I killer sono l’anello operativo di un sistema che però si base sul consenso sociale e culturale molto radicato. Anche in Lombardia.
Com’è nato questo impegno?
È il mio hobby, perché io faccio un altro mestiere, faccio il consulente di imprese e per la comunicazione di politici e istituzioni. Anche questa a ben vedere è impresa, impresa criminale. Ed è un’impresa che, come purtroppo correttamente dice Santoro, spesso funziona meglio dello Stato. Il welfare loro in certe zone d’Italia purtroppo funziona di gran lunga meglio dello Stato.
Ha ancora legami diretti con la Calabria?
Dopo essere stato consigliere a San Luca (mi sono dimesso per candidarmi a Reggio Calabria), ora sono ambasciatore della Locride e di Platì. Siamo a cinque chilometri da Africo.
Ha avuto problemi di minacce o simili?
Mai. E non capisco a cosa servano i colleghi che vanno lì con le superscorte. Non è un tipo di mafia che molesta. È molto “educata”, non vuole casini. Andando lì con quaranta carabinieri creano un’immagine falsa: ovviamente chi ha avuto attentati o minacce serie è giusto che sia scortato, ma io ho girato in lungo e in largo, ho fatto la campagna elettorale nella Locride, sono stato consigliere comunale, sono ambasciatore, faccio ogni sorta di evento, giro da solo e non sono mai stato nemmeno seguito. Ci sono i ragazzini in Vespa, ma vogliamo ridere?
Non c’era stata un’aggressione una volta?
Sì, ad Archi, a Reggio Calabria, ma credo derivante soprattutto dal mio approccio diretto nei loro confronti con la telecamera. È ovvio che se arrivi davanti a casa del boss con la telecamera magari qualcuno si incazza, ma come succede agli inviati di molte trasmissioni in circostanze del genere. Anche se dai fastidio, però, la ’Ndrangheta è molto fredda e razionale. Non è la Camorra che fa la sceneggiata napoletana. Non è Cosa Nostra che scatena le stragi di Stato. Fanno cose molto più studiate. È una mafia molto aristotelica. Loro si concepiscono come un’istituzione del territorio. Tanto quando vogliono uccidono chi vogliono, anche se ora l’omicidio viene centellinato, mentre prima c’erano le faide (che però confliggono con il business, perché la faida attira l’attenzione). La ’Ndrangheta ha fatto un grande salto di qualità nelle proprie strategie. È molto diversa da Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita. Infatti ha in mano Milano, anche se non mancano presenze di Cosa Nostra, pugliesi e balcanici. Però c’è molto rispetto per i calabresi. Ok i serbi e gli albanesi, ma per arrivare a una mente criminale come quella calabrese ce ne vuole.
È vero che ha riscontrato la presenza di omosessuali nella criminalità organizzata calabrese?
Sì, io sono stato anche oggetto di attenzioni e avance, da parte di gente che mi faceva capire che a sua volta aveva delle tendenze. Lo giuro. Mi è capitato quando entravo in casa delle famiglie, però non ho assecondato perché non mi sembrava il caso e non sapevo cosa sarebbe successo dopo, magari da soli in qualche albergo… Nella ’Ndrangheta l’omosessualità è tanto diffusa quanto nascosta. La ’Ndrangheta è ipermaschilista e come in tutte le società ipermaschiliste l’altra faccia della medaglia è appunto l’omosessualità nascosta. È vero che sono donnaioli, però ogni famiglia (parliamo di entità molto ampie, di 200-300 nuclei) ha due-tre omosessuali in casa. Per i mafiosi l’omosessuale è inaffidabile, quindi i figli o nipoti omosessuali vengono di solito spogliati dell’incarico criminale, anche se ci sono delle eccezioni. L’omosessualità deve essere sottotraccia e il discorso cambia anche in base alle zone: per esempio a Milano e a Reggio puoi anche essere affiliato nonostante qualche storia omosessuale, ma la cosa non va ostentata e deve rimanere al massimo a livello di «si mormora che…». A Reggio ci sono dei casi, lo sanno tutti, a Milano anche dei capimafia hanno avuto relazioni con trans o cose del genere che si sono venute a sapere, però sempre molto sottotraccia. Il punto è sempre non ostentare, e allora tollerano. Fanno finta di non vedere. Invece nella Locride ancora non viene accettato in assoluto. La situazione però è migliorata: una volta i figli omosessuali li eliminavano. Adesso li mandano all’estero, ma spesso li tengono anche in famiglia, pur senza incarichi.
In cosa questo aspetto può essere un fattore?
Quello che spesso si sottovaluta è che la reputazione privata è parte integrante della reputazione criminale. Tanta gente è stata uccisa perché c’erano storie di corna, di tradimenti, di faide, di figlie che rifiutavano un matrimonio, di omosessualità. In alcuni casi i comportamenti privati hanno determinato omicidi. Quindi diventano rilevanti. Un delitto apparentemente inspiegabile potrebbe invece essere spiegato analizzando la sfera personale. Ma lo Stato forse è ancora troppo macho per capirlo. Forse servirebbero più gay nelle forze dell’ordine, oltre a più donne, che comunque già ci sono. Servono persone che siano in grado di vedere e interpretare ciò che altri non vedono. Per riconoscere una certa cosa la devi conoscere. In altri Paesi c’è tutto un apparato di omosessuali nelle forze dell’ordine. Negli Usa ci sono i sindacati dei poliziotti gay. È l’Italia a non essere in linea. Non è per fare del settarismo o del corporativismo, ma credo che noi omosessuali possiamo avere una visione più a 360 gradi. Io non appena mi sono calato in questa realtà mi sono accorto di situazioni molto border line, legate magari all’essere per forza all’ultima moda o “leccatissimi”. Certe pulsioni che montano, per chi le conosce, si riconoscono lontane un miglio.
A questo proposito c’è chi, come Cruciani, ha ironizzato sul fatto che lei in Calabria oltre alla ‘Ndrangheta magari stesse esplorando anche altri interessi…
Quando vivi a Milano non hai bisogno di andare a cercare da altre parti. A Milano c’è già di tutto e di più e, se ti piacciono i meridionali, ne trovi tantissimi. La verità è che soprattutto in quest’anno di pandemia ho fatto una vita monastica (non per mia scelta…). Cruciani è sempre molto simpatico ma malevolo. È anche intelligente e quindi accetto la sua satira, non ci sono problemi. Bisogna anche sorridere. Perché alla gente non interessano di solito queste questioni? Perché l’antimafia è pallosa, egoriferita e autoreferenziale. Invece quando si raccontano certe cose bisogna metterci anche l’ironia e il sorriso. La gente ha già i suoi problemi, non vuole sentire dei sermoni. È chiaro che è triste avere a che fare con la morte e con il dolore, ma io ho introdotto Andy Warhol nell’antimafia, in tutti i sensi (anche con i manifesti). Far conoscere questi mondi coinvolgendo la gente – conclude Davi – è un modo per combatterli.