Raffaella Carrà è morta un anno fa, il 5 luglio 2021, a settantantotto anni. A dare il triste annuncio Sergio Iapino con queste parole: «Raffaella ci ha lasciati. È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre». È stata donna di spettacolo totale ma, non smetteremo di dirlo, inossidabile sex symbol per generazioni di maschi italiani, ivi compresi i gay che l’hanno eletta tra le icone di tutti i tempi.
Omaggi a Raffaella ce ne sono stati tanti, per esempio quello di Tiziano Ferro, che nel 2007 inserisce nel suo terzo album “Nessuno è solo”, un brano irresistibile e contagioso dedicato proprio a lei: “Raffaella è mia”. Il clip che gira in rete è ancora più forte, un finto programma tv, un concorso canoro per giovani che mette in palio in una serata con Raffaella Carrà. E chi lo vince? L’imbranatissimo Ferro Tiziano, estasiato davanti all’immortale soubrette che gli compare improvvisamente davanti, abito giallo, capelli biondissimi, come se per lei il tempo non passasse mai.
Revival? Riscoperta? Effetto nostalgia? Niente affatto. Raffaella Carrà ha rappresentato da quasi mezzo secolo l’intrattenimento più completo nel mondo dello spettacolo italiano. Sapeva fare tutto: cantare, ballare, recitare, la conduttrice e la giornalista, le trasmissioni per famiglie e il sogno erotico. Una donna libera, indipendente eppure rassicurante, talento strepitoso e multiforme. Ci passa un mondo dai ritornelli infantili di “Chissà se va” all’ammiccamento malizioso del “Tuca Tuca”. Nel 1974, protagonista insieme a Mina di “Milleluci”, prima mostra l’ombelico, poi si presenta inguainata in versione dark lady, pelle nera, stivali tacco dodici a spillo, per cantare “Rumore”. Piccoli scandali nella pruriginosa Italia democristiana. Dieci anni dopo la ritrovi all’ora di pranzo con “Pronto Raffaella?”, dove lancia il gioco del barattolo di fagioli ed è perfetta padrona di casa, vestita di sobri tailleur, nel salotto in cui si avvicendano ospiti celebri e persone normali. Un trionfo per Rai1 nella fascia oraria dominata da Canale 5.
Tra fine anni Novanta e inizio Duemila “Carramba che sorpresa” e “Carramba che fortuna” portano milioni di telespettatori a commuoversi con le storie di immigrati e fratelli divisi dalla nascita. Roba da vecchi? Proprio no, i giovani la seguono con adorazione nelle quattro edizioni del talent The Voice - dove mette a disposizione decenni di esperienza per scoprire nuove promesse. É cambiata in continuazione Raffaella. Solo una cosa è sempre rimasta identica, il celeberrimo “carré Carrà” inventato dai parrucchieri Vergottini su indicazione di Gianni Boncompagni: “serviva un taglio che, nonostante i balletti e la mossa con la testa di Raffa all’indietro, tornasse immediatamente a posto da solo. I capelli furono tagliati dai Vergottini ad altezze scalari, in modo da permettere che ruotassero su se stessi e ritornassero immancabilmente a posto dopo qualsiasi acrobazia. Taglio che poi negli anni si è sempre più allungato, trasformando la frangia in ciuffo. Il motto dei Vergottini, ‘i capelli si devono muovere come gli occhi’ era perfetto per lo stile Raffa”.
Critici, opinionisti, sociologi continuano a interrogarsi sulle ragioni di un sempiterno successo. La simpatia le deriva dal sangue emiliano-romagnolo. E poi tenacia, carisma, convinzione, la linea di demarcazione netta tra personaggio pubblico Raffaella Carrà e vita privata di Raffaella Maria Roberta Pelloni, la capacità, sempre originale, di usare il mezzo televisivo in quella che Valeria Muccifora nel saggio “Grazie Raffa! L’estetica del Tuca Tuca e il mito della Carrà” definisce come “l’esaltazione dell’espressività… l’esaltazione massima dell’emozione sul significato”.
Anche la fisicità di Raffaella aveva qualcosa di particolare, che sfugge ai canoni imposti dalla legge dello spettacolo: “ha fianchi ampi, gambe non perfettissime, bocca leggermente larga, statura non inarrivabile, naso evidente, sproporzione forte tra fianchi e punto vita microscopico”, risultato di una costruzione laboratoriale restituita però con altrettanta sapiente naturalezza attraverso un linguaggio semplice eppure sorprendente, che passa dal dialetto a un ottimo inglese.
Un donna che ha rinunciato alla maternità, solo due grandi amori - Gianni Boncompagni e il coreografo Sergio Japino, dieci anni meno di lei - a un certo punto trasformata dai media in icona gay, che in teoria mal si sposerebbe con la definizione acquisita di personaggi dalla vita complicata, contorta e infelice. Nata a Bologna nel 1943, ha raccontato a Massimo Gramellini “mi hanno cresciuta due donne, tre contando la nurse inglese. Mia madre Angela Iris fu una delle prime a separarsi nel dopoguerra. Non si risposò più. Mio padre è stato un uomo buono e intelligente ma inaffidabile… Uscivo solo con i gay. Quando in sala faceva buio, loro non cercavano di tastarti”. E confessa di avere ricevuto tante lettere di ragazzi omosessuali disperati. Senza rinunciare a quel buonismo che l'ha resa così amata, “‘per me il mondo non è fatto di gay e di etero ma di creature”, poi riprende a scherzare, “i gay amano soprattutto mettersi la parrucca bionda, le mie canzoni e la mia allegria”.
Quando meno te lo aspettavi, insomma, Raffa rispuntava fuori a sorpresa. È un’ipotesi, certo; difficile che Bob Sinclar l’abbia presa in considerazione, Il DJ e produttore francese, Christophe Le Friant nel 1969, il cui pseudonimo si ispira al personaggio che Jean-Paul Belmondo aveva interpretato nel film “Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo” di Philippe De Broca, conosce appena il passaggio di una canzone che la Raffa interpretava nel 1976, “A far l’amore comincia tu”. Lo intriga e decide di testarlo nei club, nei suoi set notturni, al punto da pensare di farne un campionamento non autorizzato. Ogni volta che lo suona i ragazzi ballano e si divertono. Uno choc generazionale, un disco degli anni Settanta che funziona perfettamente anche nel 2011. E allora incontra Raffaella che, divertita, reincide la propria voce. “Ha un cuore vero”, testimonia Bob. Così un 45 d’epoca diventa uno dei principali hit della nuova estate, dal mondo dei clubbing, alle radio, alla rete.
“A far l’amore comincia tu. Se lui ti porta su un letto vuoto, il vuoto daglielo indietro tu. Fai vedere che non è un gioco, fagli capire quello che vuoi tu”, testo di Daniele Pace su musica di Franco Bracardi per uno dei singoli più venduti di Raffaella Carrà, nel remix di Sinclar acquista una seconda vita. Capelli lunghi, barbetta hipster, Bob proviene dall’ambiente francese della musica elettronica, lo stesso dei Daft Punk, Kid Loco, Cassius e Dimitri from Paris. Nel 2005 con Love Generation ottiene fama internazionale, nel 2006 vince il World Music Award come miglior dj del mondo, nel 2007 il neo-presidente Nicolas Sarkosy lo invita a Place de la Concorde il giorno della sua elezione. La critica però lo giudica troppo commerciale perché contamina in maniera sfacciata l’elettronica con pop, reggae, funk e disco allo scopo di piacere sempre di più.
Per un’Italia che lotta contro la crisi economica, c’è un’Italia indifferente, che continua a ballare come se niente fosse, l’Italia coatta e cafonal, così la chiama Roberto D’Agostino, decadente e moribonda. L’Italia de La grande bellezza, il capolavoro “romano” di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero nel 2013. Danzava allora, danzerà anche quest’estate, distanziamento sociale oppure no, perché la nostra è una tribù che balla.
L’Oscar lo ha vinto anche lei, eterna stupenda Raffaella.