Se uno pensa ai sindacati, pensa a tutto tranne che a qualcosa di vagamente stiloso. Il mondo del sindacalismo, infatti, da sempre è caratterizzato da magliette o felpe spesso sgualcite che ne descrivono la categoria di appartenenza, alle bandiere polverose sventolate nelle manifestazioni di piazza e ai furgoncini scalcinati equipaggiati con casse gracchianti per “caricare” i partecipanti con canzoni nostalgiche durante i cortei. Un ambiente che anche al vertice è stato rappresentato esteticamente da leader che puntavano sull’estrema sobrietà, proprio in contrapposizione con “i padroni”, cioè gli industriali, che invece sfoggiavano outfit all’ultima moda. Senza andare troppo indietro nel tempo, hanno fatto storia gli zoccoli con i quali Susanna Camusso si presentava ai convegni estivi pettinata con quel taglio di capelli scarmigliato un po’ eighties, così come le canottiere della salute bianche sotto le camicie di Maurizio Landini accompagnate a degli occhiali di metallo dalla montatura da agente della Ddr (l’ex Repubblica Democratica Tedesca).
Ma da qualche tempo nella Cgil la svolta fashion sembra averla lanciata, consapevolmente o meno, una giovane pasionaria: Serena Sorrentino.
Il suo curriculum è impeccabile, almeno quanto la sua eleganza. Nata nel luglio del 1978, studi umanistici, vive e cresce nella provincia nord di Napoli dove si forma occupandosi delle condizioni di disagio dei giovani delle periferie, contro le quali intraprende lotte e vertenze, a cominciare dalle rivendicazioni legate al diritto allo studio e agli spazi sociali. La leggenda narra che a soli 13 anni si sia presentata nella sede della Cgil di Napoli, in via Torino, con un problema di non poco conto: la sua scuola letteralmente non c’era. Inizia così prestissimo l’esperienza politica, per poi continuare con l'elezione, sin dal primo anno, a rappresentante degli studenti.
Oggi è segretario generale della Fp Cgil - la più giovane della storia - e da settimane è su tutti i giornali e partecipa a tutti i talk show perché capeggia il malcontento del pubblico impiego, fra rivendicazioni e scioperi che, a chi non è dipendente pubblico, mettono l’orticaria. Ma senza voler entrare nel merito della questione, già esteticamente appare rivoluzionaria rispetto al modello che tutti noi abbiamo in mente di un (o una) sindacalista. E forse in un periodo così difficile, per far digerire all’opinione pubblica i mal di pancia dei lavoratori “privilegiati” per eccellenza, c’era bisogno non solo di competenza ma anche di una immagine più in linea con gli anni ’20 del nuovo millennio.
Trucco “al naturale” ma curato nel dettaglio, rossetto o lucidalabbra ad accentuare le labbra carnose, sopracciglia ad ali di gabbiano, unghie smaltate di nero, capelli stirati di fresco, le felpe e le t-shirt (usate in manifestazione) che lasciano il posto ad abiti che ne delineano le forme e da tailleur di buona sartoria, il tutto arricchito da vistosi orecchini ed elaborate collane, oltre a una montatura degli occhiali di tendenza a incorniciarne il volto. Se in tv non scorressero ogni tanto i “sottopancia” o sui giornali non vi fossero le didascalie, a prima vista la si potrebbe scambiare facilmente per una rappresentante di Confindustria. Un sacrilegio fino a qualche tempo fa per qualsiasi rappresentante sindacale, dalla base in su.
E di certo fra i militanti duri e puri (forse più le donne, per invidia) ci sarà chi ha storto il naso. Fatto sta che è lei il volto nuovo di un sindacato che ha un estremo bisogno di rimanere al passo con i tempi in ogni modo, anche quello mediatico, per non rischiare di risultare costantemente di retroguardia rispetto a un mondo del lavoro che viaggia alla velocità supersonica delle trasformazioni tecnologiche. In questo senso, la sexy sindacalista napoletana sembra rappresentarne in pieno il processo di modernizzazione. Ha già superato persino la prima gaffe televisiva, quando a Piazza Pulita, nel rispondere al giornalista Sebastiano Barisoni, ha dichiarato che “i dipendenti pubblici non sono pagati dai cittadini”. Quando gli è stato chiesto da chi venissero i soldi, ha svicolato con un contorto ragionamento sulla “compartecipazione al welfare” degno delle “convergenze parallele” di democristiana memoria. Insomma, la Cgil del nuovo millennio - che appariva come un dinosauro in via di estinzione - può ora contare anche sull’avvenenza di Serena Sorrentino la quale, nonostante le apparenze, ha però dimostrato che “oltre alle gambe c’è di più”.