In Italia c'è una donna che oggi compie 90 anni e che vive sotto scorta. Perché è ebrea. Si chiama Liliana Segre, è senatore a vita, ed è un esempio di cui dovremmo parlare ogni giorno. Una donna da raccontare ai nostri figli. È stata intervistata dal Corriere e in molti passaggi ho sentito qualcosa che non andava nel mio stomaco. Perché tra ieri e quello che ha vissuto lei e oggi e quello che stiamo vivendo tutti ci sono delle affinità. Tempi, modi, approcci completamente diversi ma ciò che è accaduto in passato è giusto che faccia da spirito guida.
Liliana Segre ha parlato del lockdown, un periodo con molti, troppi appigli che la riportavano indietro: "A quel tempo gli sciacalli entravano nelle case che restavano vuote e anche adesso, in forme diverse, sono riapparsi: a fare affari mentre in televisione vedevamo tutte quelle bare. Non mi hanno sommerso allora, non ci sono riusciti oggi. Io provo ancora speranza". Sulla scuola: "Ad Auschwitz lavoravo schiava in una fabbrica di munizioni, consegnavo pezzi di ferro a un altro operaio schiavo, un professore francese. Era proibito parlarci ma scambiavamo lo stesso qualche parola. E per poco non eravamo più pezzi senza nome ma un'alunna e un professore. Ero un animale ferito, avevo perso mio padre e i miei nonni, la scuola mi ha salvato".
Ha ricordato la sua storia, straziante: "Mia madre Lucia è morta quando avevo un anno e mezzo, così mio padre per me è stato tutto. Il dolore più grande del mondo ce lo siamo dati reciprocamente: io l’ho provato per la sua perdita, lui perché quando ha lasciato la mia mano sulla rampa di Auschwitz-Birkenau non credo pensasse che ce l'avrei mai fatta. Avevo 13 anni". Ha ricordato che ad Auschwitz un passo avanti o indietro poteva cambiare il destino: "Quando scendemmo dal treno e ci separammo, uomini di là e donne di qua, mio padre mi disse di restare vicino alla signora Morais, una nostra conoscente. Eppure quando la guardia mi chiese se fossi sola risposi di sì. Io finii in una fila, lei in un'altra. Lei andò al gas, io no".
Inimmaginabile. Noi non potremo mai capirlo. Possiamo capire però che ci sono delle barre da tenere dritte, delle linee dietro le quali non arretrare, e in questi giorni, proprio in sti giorni, varie vicende ci ricordano che tutto ciò è reale. Una delle mie canzoni preferite di Vasco si intitola Mi si escludeva. Un verso fa più o meno così:
e mi ricordo che sì, si escludeva
per motivi che
adesso fanno solo ridere
A me mi hanno escluso per la mia cadenza, per la mia provenienza terronica, per cose che oggi fanno davvero ridere. Ma se ci dimentichiamo che ancora oggi queste cose esistono, perdiamo. Perché ancora oggi c'è chi viene emarginato per il colore della pelle, per il posto da cui arriva, per la sua inclinazione sessuale, per una disabilità, per un semplice motivo caratteriale.
E ogni volta che ce ne dimentichiamo - perché capita a tutti, tante volte - dobbiamo pensare che la speranza è più forte di quasi tutto, che a vincere non è mai chi esclude ma anzi, sempre, chi viene escluso, ché trova proprio nell’esclusione la forza che gli manca. Che i muri sono sempre stati buttati giù e che parte tutto dall’educazione: perché non solo si può, ma si deve, essere fragili, deboli, diversi, timidi, bisognosi di affetto. E, soprattutto, ogni volta che ce ne dimentichiamo, ci dobbiamo ricordare che in passato il futuro ci ha già dato torto. E continuerà a farlo.
Auguri Liliana.