Luca Perri è dottorato in astrofisica all’Università dell’Insubria e all’Osservatorio di Brera. È astronomo dell’Osservatorio di Merate e conferenziere del Planetario di Milano. Da oltre dieci anni si occupa di divulgazione su radio, tv, carta stampata, festival e social network. È campione italiano e finalista internazionale di FameLab 2015, il talent show sulla divulgazione scientifica. Ha scritto e condotto rubriche all’interno dei programmi Superquark e Memex e Galileo di Rai Scuola. Lo raggiungo telefonicamente nel giorno dell’insediamento di Biden alla Casa Bianca e parliamo per quasi un’ora di Cambiamento climatico, crisi della divulgazione, bufale e metodo scientifico.
Il tuo ultimo libro “Pinguini all’equatore” tratta il tema della crisi climatica e mette subito in guardia il lettore con uno spoiler: è tutta colpa nostra. Perché?
Perché tendiamo a credere alle bufale che ci alleggeriscono la coscienza e spostano altrove le responsabilità o addirittura negano le evidenze. Invece è necessario essere chiari sin da subito: è praticamente sempre colpa nostra, anche se è difficile prendersi le responsabilità per le gravi condizioni in cui versa il nostro pianeta o dover ammettere di essercene fregati per decenni.
Il libro nasce per raccontare ai giovani (ma non solo) come riconoscere e difendersi dalle bufale sul clima. Ne circolano così tante?
Tantissime. Quelle nel libro sono solo una parte e sono probabilmente le più virali o quelle mediaticamente più rilevanti.
Come riconosciamo una bufala?
Interpretando e analizzando i dati. Nella scienza funziona così, se guardiamo solo i dati senza interpretarli ci sarà sempre spazio per una comunicazione errata in cui un singolo dato, isolato ed estrapolato può darti la possibilità di dire qualunque cosa.
Per fare quello che in gergo si chiama Cherry Picking
Esatto: come davanti a un albero di ciliegie scelgo solo quelle più mature e appetitose, allo stesso modo per far passare una teoria posso scegliere solo i dati che mi tornano utili, escludendo volutamente gli altri.
Ma allora come ci si difende da una notizia falsa?
Prevalentemente fidandosi degli studiosi del settore. Spesso le bufale viaggiano rapidamente perché si diffondono le parole di qualche personaggio famoso, magari anche pluripremiato, ma che su quel tema sa davvero poco. Un esempio Carlo Rubbia (sull’esempio concreto torneremo tra qualche domanda ndr), che è un Nobel per la fisica delle particelle, ma non un climatologo. Il fatto che abbia vinto un Nobel non lo rende onnisciente su qualunque cosa. Bisogna imparare a capire se una fonte è affidabile o meno.
Come si fa?
Esiste un metodo di controllo che si chiama Principio di Belzebù secondo il quale tra due fonti affidabili la più attendibile è quella che sembra perderci qualcosa. Mi spiego meglio: se io venissi da te e ti dicessi che un’ora fa ho parlato col diavolo, sarei più affidabile se mi fossi sempre dichiarato ateo o credente? Ovviamente ateo perché nel momento in cui ti dico che ho parlato con il diavolo significa che ho vagliato ed escluso tutte le altre possibilità e sto affermando qualcosa che, in un certo senso, va contro il mio credo.
Quindi la fonte che “perde” è la più affidabile.
Un esempio classico è l’allunaggio. Ogni tanto qualcuno tira fuori la tesi che non siamo mai stati sulla Luna. Perfetto, ma chi ci ha perso più di tutti dall’allunaggio statunitense? I sovietici. E loro cosa dicono? Che gli americani sulla Luna ci sono stati. Ecco se i sovietici avessero avuto un qualsiasi dubbio lo avrebbero ovviamente denunciato perché non avrebbero avuto alcun vantaggio a confermare un successo americano.
Qualche altro trucco per difenderci dalle fake?
Adottare il principio dell’informazione laterale. Ci sono delle informazioni difficili da ottenere, poniamo che io voglia sapere qualcosa sul clima della Groenlandia mille anni fa. Ecco è difficile che io trovi un parametro capace di darmi quell’informazione. Devo allora cercare dei dati indiretti. Come quando cucino un polpettone e voglio sapere se dentro è cotto, ma non posso tagliarlo perché rischierei di rovinarlo. Allora inserisco un termometro da cucina che mi dice la temperatura interna della carne e in base a quello ho la risposta anche senza avere il dato diretto. Nel caso della Groenlandia cercherò allora informazioni nell’ambito astrofisico e glaciologico.
Ci racconti un paio di capitoli del libro? Mi interessava approfondire il discorso su Rubbia che facevi prima…
Quel capitolo si chiama “Elefanti sulle Alpi e uomini di ghiaccio” prende spunto da un discorso di Carlo Rubbia al Senato, il cui concetto era: se Annibale duemila anni fa ha valicato le Alpi con gli elefanti è evidente che c’era un clima più mite rispetto a oggi. In realtà le cose andarono diversamente: è vero che Annibale valicò le alpi ma fu una traversata terribile e su 37 elefanti, 36 morirono. Questo è un ottimo esempio per capire come funzionano le bufale e quali meccanismi mentali mettiamo in atto quando analizziamo le notizie. Se alcune informazioni ci vengono ripetute in continuazione, se finiscono sui libri di testo, se le dice un Premio Nobel al Senato allora è per forza vero e smettiamo di ragionare col nostro cervello.
Un altro esempio?
Una notizia virale del 2015 quando si sparse la voce che gli Inuit guardando il cielo si fossero accorti che le stelle si trovavano in una posizione differente e si iniziò a parlare di asse terrestre inclinato e che fosse quella la causa del cambiamento climatico. Per dire, se l’asse terrestre si spostasse di colpo (può succedere ma servono 40 mila anni) ci sarebbero una serie di problemi derivanti dall’inerzia della rotazione per cui si svilupperebbe un calore tale da fondere i continenti e siccome non stiamo sprofondando nel magma possiamo iniziare a scartare questa ipotesi. Poi da un punto di vista climatico ci sarebbero sì zone molto più calde, ma anche zone molto più fredde. Anche in questo caso un’informazione errata ripetuta tante volte diventa familiare, plausibile e ancora oggi se cerchi su Google “inuit - asse terrestre” escono 45 mila risultati di siti poco affidabili che però fanno numero e danno in un certo senso ragione alla teoria.
Esiste un negazionismo ambientale? E a che pro?
Senza dubbio, ma dobbiamo dividere i negazionisti in due categorie: quelli volontari “cattivi” che creano le fake e quelli che si ritrovano a crederci. La seconda categoria è comprensibile da un punto di vista umano: se qualcuno mi dice che la colpa del surriscaldamento globale non è mia, perché non crederci? Per i primi invece, se andiamo a guardare chi diffonde queste falsità riconosciamo studiosi che in passato hanno negato il riscaldamento climatico e siccome oggi hanno un nome e una reputazione non vogliono tornare sui loro passi; oppure c’è chi ha avuto collaborazioni grosse con aziende petrolifere e non dirà mai che è colpa dell’uomo e dell’utilizzo delle fonti fossili di energia; o ancora ci sono degli scienziati che non fanno parte dell’ambito di studio e interpretano in maniera scorretta i dati.
Biden è appena entrato alla Casa Bianca e ha già riportato gli Stati Uniti nell'accordo sul clima di Parigi. Che effetti avrà questa scelta nel medio periodo?
Si tratta di un segnale molto forte dato che la precedente amministrazione non solo era uscita dagli accordi, ma addirittura aveva negato la crisi climatica. Gli States rappresentano una super potenza a cui gli altri stati guardano e qualora questi decidessero di attivare una politica di transizione verso la green economy di sicuro ci sarebbero delle ricadute positive.
Virare verso la green economy, è questa la direzione?
Tempo fa un’esperta della BCE a capo di un gruppo di lavoro su questo argomento mi ha detto che per riuscirci bisognerà investire (e sottolineo investire e non spendere) il 2% del PIL mondiale. Tantissimo, vero, ma sempre la BCE ha calcolato che se non facciamo questa transizione le spese per rimediare ai danni dell’estremizzazione climatica saranno il 24% del PIL mondiale. 12 volte tanto e quelle saranno solo spese e non investimenti.
Verso la fine del libro fai l’elogio del dubbio e dici che solo chi mette in dubbio le cose può arrivare alla verità. Si può dare però una lettura distorta di questo meccanismo: ho dei dubbi e quindi non credo. Non credo e quindi sono anti. Ed eccoci ai No Vax o ai negazionisti…
Nel libro si sottolinea la differenza tra dubbio buono e cattivo. Il dubbio buono è alla base della scienza. Tutto il progresso scientifico si fonda sul mettere alla prova le nostre teorie e si fa attraverso una serie regole e meccanismi che costituiscono il metodo scientifico. Poi c’è il dubbio cattivo, quello che mi fa dire dubito, quindi non ci credo. Se faccio un’affermazione contro una conoscenza diffusa devo anche portare delle prove a riguardo e non devo chiedere agli altri di smontare la mia teoria. Cosa che invece avviene sistematicamente e che rappresenta il meccanismo classico dei negazionisti.
Che ruolo ha la divulgazione scientifica in Italia oggi?
Il discorso è complesso. Negli ultimi anni e fino all’inizio del 2020 eravamo riusciti a recuperare il rapporto tra comunità scientifica e popolazione. Si trattava di un rapporto interrotto nei decenni precedenti perché - prendiamoci le nostre colpe - la comunità scientifica si era isolata ritenendo inutile e superfluo parlare con la popolazione che “tanto non avrebbe capito”. Chi ha fatto divulgazione in questi anni ha ricucito questo strappo e sono nati tanti progetti, è nato un pubblico, sui social sono comparsi tanti divulgatori seguitissimi, ma la pandemia ci ha riportato indietro ha rappresentato un fallimento comunicativo perché si è data voce anche a chi non era il caso che prendesse la parola. Essere grandi virologi non comporta automaticamente essere dei grandi comunicatori. Oggi la gente non si fida più nemmeno dei medici. Questo grosso passo indietro spero che non sia irrimediabile e si riesca rapidamente a invertire la direzione.
Ti senti responsabilizzato?
Assolutamente sì. Chiunque ha modo di comunicare con un numero elevato di persone che si fidano e vedono in lui o lei un’autorità credibile deve sentirsi responsabilizzato. Cerco sempre di essere il più preciso possibile nonostante, in quanto divulgatore, io debba stare attento al linguaggio per farmi capire dal maggior numero di persone.