“I fratelli Mazzuca sono tra i più grandi conoscitori della Famiglia Agnelli, te ne accorgerai leggendo il libro e parlando con loro”. La prima importante informazione mi arriva da un amico, un torinese, Marco Pautasso, il vice direttore del Salone del Libro di Torino. Sono partito da lui perché frequentando Torino e avendoci anche vissuto ho compreso col tempo quanto nella testa della gente coesistano due Gianni Agnelli.
C’è quello che conosce tutta Italia e poi c’è Gianni Agnelli il torinese, il simbolo di una città e di un certo modo di intendere il lavoro, l’impresa, la propria immagine pubblica. Una volta mi hanno detto che Torino, proprio grazie agli Agnelli, è la città dell’understatement, della non ostentazione pur senza rinunciare a esserci e a contare. Tutti i torinesi – se hanno dai trent’anni in su – si ricordano il giorno del funerale dell’Avvocato.
L’Avvocato (in realtà era solo laureato in legge, ma come diceva lui “mi piace usare questo nome d’arte”) il 12 marzo compirebbe 100 anni e facendo qualche domanda a Giancarlo Mazzuca (co-autore con il fratello Alberto di Gianni Agnelli in bianco e nero edito da Baldini+Castoldi) ho cercato di costruire un identikit di Agnelli da consegnare - se non alla storia - a una duratura cronaca.
Di lui sappiamo che fu un uomo ossessionato dalla costante ricerca del primato. Si annoiava facilmente e poche volte ha seguito una partita allo stadio fino al fischio finale, sempre desideroso di scoprire cose nuove, faceva molte domande ed è stato il simbolo del made in Italy nel momento in cui made in Italy significava davvero qualcosa. Ben visto all’estero, ben voluto dalla Prima Repubblica (Scalfaro lo chiamò nel 93 per fare il Premier) oggi odierebbe l’idea di dover rinunciare al decimo scudetto consecutivo della sua Juve.
Mazzuca, a un secolo dalla nascita e a diciotto anni dalla sua scomparsa, cosa manca all’Italia di oggi di Gianni Agnelli?
Mancano tante cose, ma soprattutto quell’immagine di principe sabaudo prestato all’imprenditoria. Nel mondo della economia non c’è oggi un personaggio carismatico come lui. L’Avvocato è stato il simbolo del “made in Italy” nel momento del grande boom, del miracolo economico. E poi è stato un personaggio a 360 gradi diventando così il “numero uno” sotto qualsiasi angolatura lo si guardasse. Anche Gianni ha fatto i suoi errori, alcuni anche gravi, ma è riuscito sempre a risollevarsi con quell’ “aplomb” che solo lui aveva.
Agnelli che posto aveva nell’immaginario collettivo popolare? È stato un imprenditore capace di fare la differenza?
Proprio perché faceva la differenza è diventato una sorta di icona nel momento in cui il Belpaese stava cercando di ripartire. E anche i suoi avversari, in fabbrica e nel mondo, finivano per immedesimarsi nella sua figura. Anche oggi, nell’attesa di ripartire dopo il disastro Covid, avremmo ugualmente bisogno di qualche personaggio di grande caratura come fu Agnelli.
È vero che nei primi anni ‘90 Il Presidente della Repubblica Scalfaro sondò il terreno per fargli fare il Primo Ministro?
Sì è vero. Nel 1993, caduto il governo Amato, il presidente Scalfaro chiamò Agnelli per dargli l’incarico di formare il nuovo esecutivo: Avvocato tocca a lei, gli disse. Ma Gianni rifiutò.
Si racconta che - rifiutando - disse: “Se poi fallisco io all’Italia non restano che i carabinieri o i cardinali”. Con i se e i ma non si fa la storia, ma se avesse accettato che Italia avremmo avuto?
Rispose con questa famosa frase. Se avesse accettato avremmo avuto a Palazzo Chigi un uomo molto pragmatico capace di intrattenere ottimi rapporti internazionali. Non è un caso che, nel momento del bisogno, fece entrare in Fiat anche i petrodollari libici di Gheddafi.
Salvò anche la Ferrari. O almeno le impedì di finire in mani americane. Che rapporto c’era con Enzo Ferrari?
I rapporti con Enzo Ferrari furono ottimi: l’Avvocato e il Drake andavano all’unisono. Fu Ferrari a compiere la prima mossa: aveva già passato la sessantina ed era da tempo preoccupato per il futuro di Maranello. Aveva bisogno di un alleato con le spalle robuste e l’Avvocato lo fu.
La Juventus, la Fiat, la Ferrari, l’avventura con Azzurra in Coppa America, Membro onorario del CIO… qual era il volto sportivo dell’avvocato?
L’Avvocato era un vero sportivo che, così come in economia, voleva primeggiare a tutti i costi. Con lo sport riusciva a superare qualsiasi contrasto. È il caso di Palmiro Togliatti: erano divisi sul fronte politico ma erano accomunati dalla stessa passione per la Juve. E Gianni mostrava sempre con orgoglio una sua foto seduto allo stadio accanto proprio a Togliatti.
La Juve campione per 9 anni di seguito lo avrebbe annoiato?
Assolutamente no! Voleva vincere sempre, in tutti i campi. Sarebbe invece stato deluso dalla Juve di quest’anno che rischia di fallire il traguardo dei dieci scudetti consecutivi.
Potendo scegliere… qual è l’automobile FIAT che meglio rappresenta l’Avvocato?
Considerando che voleva essere sempre numero uno, avrebbe scelto un bolide rosso, una Ferrari che comunque era entrata nell’orbita Fiat.
Henry Kissinger disse di lui: “Patriota italiano, grande europeo e amico degli Stati Uniti”. Ma Agnelli può definirsi un patriota italiano?
La definizione di Kissinger calza a pennello: è il vero identikit dell’Avvocato, che fu amico degli americani ma anche grande sostenitore del “made in Italy”. In tal senso può definirsi un vero patriota italiano.
Che penserebbe oggi di Stellantis?
Agnelli per certi versi ha anche anticipato i tempi: prima degli altri ha infatti capito che il futuro della Fiat era l’internazionalizzazione. Stellantis è proprio il suggello finale del suo pensiero sulla Fiat degli anni Duemila.
Dovendo consigliare il libro a una persona che conosce pochissimo Agnelli. Da quale fatto della sua vita consiglierebbe di partire? E perché?
Partirei dal giorno in cui ebbe la tristissima notizia del figlio Edoardo. Ripercorrendo quelle ore attraverso le parole del suo amico Jas Gawronski capisci perfettamente la fragilità umana che colpisce tutti: anche un numero uno come Gianni Agnelli.