Ingannevole fin dal titolo. "Le ultime ore di Mario Biondo" è la nuova docu-serie Netflix che racconta molto poco rispetto alle tuttora misteriose dinamiche della morte del giovane cameraman, privilegiando il punto di vista della moglie, la famosa conduttrice spagnola Raquel Sánchez Silva. Se scegliere la prospettiva da cui far luce su una vicenda è libera scelta autoriale, ciò che infastidisce, anzi che fa proprio rabbia, sono le enormi omissioni e i voli pindarici fuori tema inseriti abbondamente nel minutaggio, pur di far passare questa storia come una "semplice" ossessione dei famigliari della vittima che, ancora oggi, non riescono a farsi una ragione del "suicidio" del figlio. Una volta terminata la visione delle tre puntate, lo spettatore difficilmente potrà nutrire dubbi sulla pretestuosità delle accuse e delle richieste di chiarezza dei Biondo. Mario apparirà come un suicida nato da genitori purtroppo parecchio insistenti. Eppure, non è così. Il caso sta in piedi eccome e ci sono fior di perizie a dimostrarlo. Perizie taciute dal documentario, nemmeno prese in considerazione. Assurdo che questa sia la versione della tragedia che tutto il mondo potrà vedere. Andiamo con ordine, però. Chi era Mario Biondo e cosa ne è stato di lui?
Mario Biondo era un giovane cameraman siciliano. Bellissimo e baciato dalla fortuna anche nel lavoro, viene convocato per fare l'operatore a Supervivientes, L'Isola dei Famosi spagnola. Lì, conosce l'inviata in Honduras del programma, Raquel Sánchez Silva. I due si innamorano perdutamente, anche se l'intera troupe si stupisce della nascita di questa liaison. Perché "Raquel era una str0nza", dice Vladimir Luxuria in un'intervista a Le Iene sul caso Biondo. L'edizione iberica e italiana del reality condividevano le maestranze, quindi l'opinionista aveva avuto modo di vedere questa storia d'amore fin dall'inizio. Rimanendone, appunto, stupita. E non in positivo. Ma pazienza.
Una volta tornati a Madrid, la coppia decide di andare a vivere insieme a casa di lei, lui nemmeno torna dalla famiglia a cui era pur legatissimo. Dopo qualche mese di convivenza, convolano a nozze e tutto sembra andare a gonfie vele. Invece, non arriveranno al primo anniversario: il 30 maggio 2013, Mario verrà ritrovato morto impiccato in casa dalla donna delle pulizie. La giustizia spagnola decide fin da subito che si tratti di suicidio e nel giro di pochi giorni chiude il caso. Perché un trentunenne innamorato, felice e animato da una sanissima passione per il proprio lavoro (aveva appena ricevuto l'ok per la messa in onda di un format di suo conio sulla tv spagnola), si sarebbe dovuto ammazzare? Se è vero che la depressione conosce vie fin troppo spesso impossibili da intuire al di fuori della prospettiva dell'individuo che ne soffre, qui ci sono misteri molto molto più "concreti" ed evidenti. Mario stava pianificando l'arrivo dei parenti - ne aveva parlato con loro al telefono quella stessa sera, per ore, il giorno seguente sarebbe andato da un collega per ritirare dell'attrezzatura che gli serviva per un nuovo lavoro. Insomma, fino a pochissimi minuti dal decesso, progettava il proprio futuro come un aspirante suicida difficilmente farebbe. Tutte cose di cui il documentario non si arrischia nemmeno a fare menzione. La madre del giovane, Santina D'Alessandro, dopo aver visto il documentario ne ha preso le distanze tramite un comunicato video pubblicato dal canale YouTube di El Mundo. "Sono stata usata e raggirata", dice. E ha ragione.
Ha ragione perché ne "Le Ultime Ore di Mario Biondo" non si parla, tanto per cominciare, delle incongruenze sulla dinamica della morte del giovane. Ovvero dell'improbabilità fisico-scientifica del fatto che si sia ucciso in quel modo: impiccato con un foulard (come avrebbe potuto quel pezzo di stoffa reggerne il peso?) a un mobile pieno di chincaglierie varie (rimaste tutte in perfetto ordine, non ne è caduta a terra nessuna nel corso dell'estremo gesto - quando la contingente spinta avrebbe dovuto tirar giù il mobile intero). Esiste una foto del cadavere per come è stato ritrovato, postata dalla madre Santina su Twitter in un momento di disperazione. E alla sola vista non è credibile, sembra una grottesca parodia. L'immagine viene mostrata, ma solo per qualche secondo. Il manager di Raquel la definisce "disgutosa" e questo è tutto ciò che sembrerebbe esserci da dire a riguardo. Beh, non proprio.
Inoltre, il corpo di Biondo riportava una profonda botta dietro la testa. Non considerata dall'autopsia spagnola, per quanto l'ematoma fosse ben visibile (lo sappiamo sempre dalle immagini del deceduto arrivate, per fortuna, alla famiglia). Il medico legale che se ne è occupato, si è giustificato dicendo che lui stesse cercando segni di "asfissia", la causa della morte sostanzialmente decisa a monte, per cui non era interessato a rilevare altre tracce. Visto che al mondo esiste anche della giustizia, l'uomo è stato indagato per imperizia.
Di tutte queste preziose informazioni, non si parla nel documentario. Se volete approfondire, c'è un lungo speciale de Le Iene a cura di Cristiano Pasca che riporta fedelmente queste e molte altre incongruenze riguardo al "suicidio" di Biondo. Lo trovate qui. E ve lo consigliamo. Anche perché nella docu-serie spagnola si dà largo spazio soltanto della vacanza a Formentera che la moglie Raquel si è concessa due giorni i funerali del marito (viaggio che, tra l'altro, aveva prenotato con lui per celebrare il primo anniversario di matrimonio). Se ne parla come di un "errore", soprattutto perché la conduttrice non aveva mancato di postare foto in spiaggia tutta sorrisi e vida loca insieme agli amici. Davanti a queste immagini, la reazione della famiglia è ancora oggi furiosa, le vedono come una mancanza di rispetto. E la narrazione vuole farci credere che proprio e solo da qui nasca l'acrimonia dei Biondo verso Raquel, il motivo per cui da dieci anni non si diano pace alla ricerca di risposte. Intanto, interviene un eminente psichiatra per dire che, in buona sostanza, ognuno vive il dolore a modo proprio e che il lutto può esserci anche quando "non si vede". Allora, a posto così.
L'apice dell'omertà viene raggiunto glissando sull'intera inchiesta italiana. Esistono ore di video con interrogatori a Raquel in aula. Da questi emergono infinite contraddizioni da parte della donna: era o non era a Madrid la notte in cui Mario è morto? (Lei assicura di no, lo zio invece dice di sì). Ha fatto cancellare oltre 900 GB dal computer del marito prima di restituirlo alla famiglia? (Prima dice no, poi ammette). E cosa contenevano? ("Chissà"). Se, come dice, il marito era un cocainomane, come mai le chiamate ai pusher partivano puntualmente dal telefono di lei? Gli stessi inquirenti si spazientiscono parecchio di domanda in domanda perché la conduttrice fornisce risposte parziali, trincerandosi la maggior parte delle volte dietro a una serie di stizziti "Non so", "Non ricordo".
Non sfoggiando certo un amplomb inglese, i magistrati arrivano a mandarla al diavolo a mezza bocca in più di un'occasione. Perché è sfuggente all'inverosimile, dice una cosa e poi il suo esatto opposto. Ritiene, in ogni caso, ogni interrogativo una sorta di invasione della sua regal privacy. Perché tutto ciò non viene mostrato nella docu-serie? Non saranno riusciti a comprare i diritti dello speciale de Le Iene? Sembra strano, anche perché nel documentario compare brevemente Pasca, giusto il tempo di dire che Le Iene è un "programma di infotainment". La dichiarazione viene montata dopo un infinito pippone che il documentario si concede riguardo allo sciacallaggio che la tv italiana avrebbe fatto di questa storia, dando spazio al dolore dei genitori solo per fare ascolti sulla loro sofferenza. E portando avanti così "un melodramma" che non avrebbe avuto senso di esistere. Non certo perché avessero qualche cosa da dire, giammai!
A epitaffiare definitivamente la credibilità de Le Iene (di cui, lo ricordiamo, non viene comunque mostrato nemmeno un secondo dello speciale dedicato a Biondo, interrogatori a Raquel compresi), arriva provvido l'intervento di Selvaggia Lucarelli. Come ben sappiamo, la nostra nutre rancori di vecchia data nei confronti della trasmissione che ha seguito l'inchiesta in cui era stata coinvolta (e alla fine assolta) riguardo al presunto hackeraggio di alcune foto private di Elisabetta Canalis. Quindi, coglie l'occasione per dire, al mondo intero, come Le Iene non facciano certo "giornalismo", ma si limitino a parassitare i casi di cronaca nera più chiacchierati su scala nazionale, cercando di ribaltare la verità dei fatti in favore di presunti "scoop" e nuove ricostruzioni choc. Un misero teatrino, insomma.
Lucarelli, come anche Roberta Bruzzone, sono nel documentario sostanzialmente per parlare di "Emme Team", una presunta società di investigazione americana a cui la famiglia Biondo si è appoggiata nella speranza di cavar fuori qualche verità in più. Purtroppo, questo viene fedelmente riportato dalla serie, si trattava di una truffa che non ha portato ad alcun risultato. Come MOW, siamo già stati diffidati da "Emme Team" dopo aver realizzato un'intervista a Bruzzone che discreditava il "loro" operato. Ora, però, non possiamo non riferire come nella docu-serie spagnola "Emme Team" non esca benissimo e venga usata per minare, ancora una volta, la credibilità della famiglia Biondo (oggi, tra l'altro, ben amaramente consapevole del raggiro. Ma per questo "dettaglio", in tre ore di docu-serie, non si è trovato spazio). Peccato.
Forse ci stiamo dilungando, ma questa è solo la punta dell'iceberg delle omissioni perpetrate dal documentario Netflix che si conclude con una splendida apologia della cara Raquel. Importante premessa: quando si realizzano interviste per un documentario, è prassi stare con ogni intervistato diverse ore. Al montaggio, si decide poi quanto e cosa inserire delle dichiarazioni rilasciate. Dunque, l'apologia finale che Selvaggia Lucarelli fa della vedova di Biondo potrebbe essere stata piazzata lì ad hoc, come un'assoluzione che non sappiamo se l'intervistata volesse davvero fare così, a spada tratta. Lucarelli dice che Raquel, in Italia, ha pagato lo scotto di essere bella e di successo, "una Circe perfetta", perché queste cose, bellezza e carriera, non si perdonano a una donna. La scelta di inserire tale intervento nella parte del documentario in cui sostanzialmente si tirano le somme dell'intera vicenda, rende palese come l'ago della bilancia penda da una parte soltanto. Quando, magari, la domanda sarà stata semplicemente: "Come veniva percepita Raquel in Italia?".
Santina, la madre di Mario, nel video in cui prende le distanze dal documentario Netflix, afferma anche che la casa di produzione, The Voice Village, sia in qualche modo legata all'ex manager di Raquel, Guillermo Goméz, cosa di cui non era stata informata. Se fosse davvero così, non sarebbe una sorpresa. "Le Ultime Ore di Mario Biondo" è, a livello di raccapricciante parzialità, l'equivalente del documentario che gli americani fecero su Amanda Knox, fatta passare come povera vittima della malagiustizia italiana. Con questo non vogliamo dire che Raquel Sanchez Silva abbia delle responsabilità riguardo alla morte del marito. Questo, a oggi, nessuno lo può sapere e sarebbe un'accusa gravissima da fare in mancanza di prove. Quel che è certo, è che Netflix abbia proposto al mondo intero un documentario lacunoso e più ricco di omertà che di informazioni. L'ennesimo vilipendio alla morte di un ragazzo che, e lo scriviamo a malincuore, è forse destinata a rimanere un mistero.