Ex presidente dell’Istat ed ex Chief Statistician dell’OCSE Enrico Giovannini non è nuovo agli incarichi ministeriali.
Durante il breve governo Letta ha rivestito il ruolo di ministro del lavoro dal 2012 al 2014.
Nato a Roma nel 1957, sposato con due figli, è Professore ordinario di statistica economica a Tor Vergata e docente di Sviluppo Sostenibile alla LUISS, e alla Scuola Nazionale di Amministrazione.
È attualmente membro di diversi board di diverse fondazioni e organizzazioni internazionali come: la Global Commission on the Future of Work dell' Organizzazione internazionale del lavoro, la Independent Commission for Sustainable Equality (Icse), l’International Expert Working Group e il Canadian Index of Wellbeing, per la definizione di indicatori di benessere della società.
È co-fondatore e portavoce, dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), ad aprile 2020 è stato nominato membro del Comitato di esperti in materia economica e sociale istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per fronteggiare la “fase 2” dell’emergenza legata al Covid-19.
Giovannini è da sempre un grande sostenitore della transizione digitale ed ecologica anche nei trasporti, auspica da sempre una svolta ecologista e sostenibile delle aziende e della società.
Un mese fa su Repubblica scriveva quella che sembra essere il suo manifesto politico: “nel 2020 tante aziende hanno deciso di impegnarsi sull’efficientamento energetico e sulla sostenibilità così come molti consumatori hanno deciso di acquistare auto elettriche o ibride, penalizzando i produttori di auto tradizionali, o strumenti di ‘mobilità sostenibile’ come i monopattini o le biciclette. Il 2021 potrebbe essere ricordato come l’anno della svolta dell’Italia verso la sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale, o della nostra incapacità di realizzare tale svolta. Smettiamo di parlare di Recovery fund, che non esiste, ma di Next Generation, per ricordarci ogni giorno del 2021 che in gioco non c’è qualche decimo di Pil, ma il futuro nostro e delle giovani generazioni. Sono solo due lettere in più: forse, se chiamassimo le cose con il loro nome sarebbe più facile anche scegliere come spendere centinaia di miliardi per cambiare in meglio il nostro Paese”.