Diversi mesi fa ricevetti una telefonata mentre cucinavo un hamburger. Era una donna che mi chiedeva se fossi ancora interessato a una posizione di consulente aziendale per la quale avevo mandato un curriculum due mesi prima. Non ricordavo nemmeno di averlo fatto e poco convinto, per curiosità, risposi di sì. Mi invitò dunque a un incontro durante il quale l’azienda in questione si sarebbe presentata ai candidati. Ringraziai e riattaccai un po’ stranito dal fatto che, di solito, sono i candidati a presentarsi alle aziende.
Ho 30 anni. Ho diviso la mia vita professionale in vari ambiti tutti piuttosto diversi, su tutti la musica e il giornalismo, e me la cavo. Ogni tanto mi guardo attorno sbirciando negli annunci di un campo che ho bazzicato per un paio d’anni, risorse umane e affini.
L’incontro era per il pomeriggio del lunedì successivo in un piccolo coworking nella periferia sud di Milano. Da fuori, vetrina totalmente nera, sarebbe potuto essere un sexy shop.
Ero stato avvertito di arrivare puntuale per non rischiare un possibile overbooking: entrato nell’aula eravamo in sette, tra cui una sola donna. A occhio, erano quasi tutti poco più grandi di me, un paio con il tipico aspetto dei venditori, altri parevano semplici curiosi. Dalla parte della cattedra, due personaggi usciti da una puntata di Camera Cafè osservavano lo sparuto gruppo con sorrisi mefistofelici e occhiate complici.
“Volete 100.000 all’anno? Con noi potete. Volete lavorare part time? Con noi potete. Volete farlo da casa collateralmente ad altro? Potete”
Non ho mai visto nessuno più simile al Gatto e la Volpe. Avranno avuto una quarantina d’anni, non erano né particolarmente eleganti né particolarmente curati, ma avevano l’aria di chi pensa di esserlo, in particolare quello che tra i due era l’oratore principale.
“Teoricamente manca ancora qualcuno – ha esordito in una battuta – ma chi vuole aspettare i ritardatari può anche uscire”. Un’accomodante leggerezza con un sottotesto minaccioso. L’esatta atmosfera delle successive due ore.
Nonostante fossi perfettamente in orario, gli altri partecipanti si erano già presentati uno a uno prima del mio arrivo. Mi sono seduto e mi è stato chiesto il mio nome: ma sapevano già chi ero. Per regola ci si dava tutti del tu. Ho descritto brevemente i miei percorsi professionali, soffermandomi sulle esperienze giornalistiche. Volpe ha illuminato lo sguardo e la voce si è fatta quella di un doppiatore navigato: “Ahhh… davvero molto interessante”, ha detto guardando il suo compare, come se avessero finalmente trovato l’eletto. C’era qualcosa di inquietante ma anche di lusinghiero.
“Bene. Se siete qui è perché avete completato il test”. Mi è balzato allora per la mente un assurdo questionario a metà tra un’intervista professionale e un test della personalità in cui ero incappato tra giugno e luglio nel rispondere a un annuncio, e ho colto il nesso. Era un tour de force di 242 domande del calibro di “Quando ascolti della musica buona per ballare, difficilmente riesci a restare fermo?” o “Sei più triste del solito nelle giornate di maltempo?”. Per quel che ricordavo, mi ci ero fatto due risate e non l’avevo nemmeno finito. Il fatto che mi avessero chiamato in seguito all’esito di un test che era rimasto incompleto o compilato casualmente era indicativo.
La presentazione è iniziata con il racconto della storia dell’azienda, con descrizione dettagliata di ogni elemento dell’organigramma. Grande enfasi era continuamente data alla figura del fondatore, guru, Ceo e divinità, un tizio che non avevo mai sentito nominare ma che è, cascasse il mondo, “l’autore italiano di libri più venduto al mondo”, nonché amministratore delegato di ben “tredici aziende”.
Foto di speech di questo Steve Jobs nostrano, con migliaia di persone in sua adorazione, si alternavano a grafici con le corrette regole del leadering e a frasi di spicco come “le aquile non si mescolano ai piccioni”. A volte veniva nominato qualche affiliato all’azienda proveniente da marchi famosi per richiamare l’attenzione. Dopo più di un’ora di lezione frontale, non c’era stata ancora nessuna chiarificazione sul lavoro che saremmo stati chiamati a fare. Ha preso poi parola il secondo individuo, che ha raccontato della sua rinascita in seno all’azienda dopo una fallimentare esperienza londinese in gioventù, moderno Paolo di Tarso che ha visto la luce professionale. La sua attività nella compagnia però non era chiara, perché lui stesso era il dirigente di una realtà odontoiatrica.
“Noi non siamo come giraffe, che brucano dagli alberi; siamo come tirannosauri, andiamo a cacciare”
Ogni cosa che chiunque di noi dicesse era accolta come l’osservazione più intelligente. Si parlava tantissimo di soldi e si illustravano confusi eventi di formazione, fiore all’occhiello dell’azienda. Di fatto, eccetto che durante un breve questionario a coppie che non è stato poi analizzato, a nessuno è stato chiesto nulla di molto approfondito su sé stesso; ci parlavano come se fossimo già “sulla barca” senza aver avuto alcun incontro individuale prima di quel momento. Era il primo colloquio di lavoro a cui avessi preso parte in cui sembrava che l’azienda dovesse convincere i candidati di essere straordinaria e non viceversa.
La spiegazione del lavoro di consulenza in sé (identico a quello di ogni venditore di servizi, oltretutto in partita Iva), veniva messa in secondo piano rispetto alla trasmissione dello spirito e dei valori della realtà stessa: “Volete 100.000 all’anno? Con noi potete. Volete lavorare part time? Con noi potete. Volete farlo da casa collateralmente ad altro? Potete”. Non era chiaro cosa non si potesse fare. “Noi non siamo come giraffe, che brucano dagli alberi; siamo come tirannosauri, andiamo a cacciare”. Ah ok.
A pochi minuti dalla fine sono sbucati casualmente un area manager prima citato nell’organigramma e una ragazza già loro consulente, dall’aria a dir la verità poco partecipe. Arrivati a quel momento, ci trattavano tutti da amici personali. Quando si interfacciavano con me, si era passati a “Edo”.
“Allora, in quanti vogliono lavorare per noi?”, hanno chiesto scrutandoci collocati come un plotone. Le mani alzate all’istante, pupille dilatate all’idea di soldi immediati, sono state tre. Gli altri, tra cui io, le hanno alzate con qualche secondo di ritardo solo perché non sembrava proprio esserci margine per una risposta spontanea. Il desiderio principale era di uscire da quella stanza. Ci hanno congedati rimandandoci a un altro incontro di gruppo, che si sarebbe tenuto dopo pochi giorni presso l’area meeting di un hotel.
Sono uscito dall’aula confuso e un po’ intimorito. Ma anche, curiosamente, un po’ affascinato dalla storia di un’azienda in crescita, di successo e apparentemente smaniosa del mio contributo. Il confine tra i truffatori e i professionisti era molto sfumato.
I giorni successivi tutto ha preso forma dopo alcune ricerche su Internet. L’azienda appare come una normale grande compagnia di consulenze ben distribuita sul territorio non solo italiano, ma globale. Sapete perché? Perché lo è, e non ha niente che apparentemente non sia al posto giusto.
Solo in pochissimi accenni rimasti online si percepisce il nesso tra il suo guru fondatore e Scientology.
È bastato poco per ricostruire la storia. Da scientologist e reclutatore che fu, il Nostro uscì per divergenze dalla chiesa di Ron Hubbard oramai diversi anni or sono. In seguito, nel dubbio, ha fatto quello che sapeva fare meglio: ha fondato una realtà identica, con lui come leader. Ha copiato i libri, i modi, gli speech e l’assetto piramidale. Con frasi motivazionali come “Il libro della tua vita devi scriverlo tu” è diventato un personaggio pubblico, all’occorrenza citato addirittura dalla stampa nazionale. L’unica cosa scorporata è il concetto di religione.
Molte opinioni su questa realtà aziendale sembra siano state in buona parte cancellate dal web, ma nel poco che è rimasto sono in molti a raccontare del lento insinuarsi nei tessuti aziendali e della capacità di lavare il cervello dei dirigenti di compagnie medie, piccole e grandi, per far loro spendere tantissimi soldi nei loro metodi, libri e formazioni di gruppo, e far loro vessare e licenziare i dipendenti non partecipativi.
In pratica l’azienda è un grande blob, che ingloba le altre realtà succhiando soldi. Per fare questo necessità di succhiatori fedeli, i consulenti. Ogni sottile tecnica psicologica mirata ad adularci mi è diventata subito chiara una volta inserita in una mentalità da setta. La cosa che mi ha impressionato di più è che mi sono sempre ritenuto una persona dal pensiero indipendente e con capacità di discernimento, tuttavia questo non ha impedito la mia mancanza di comprensione iniziale di una situazione così malsana. Addirittura, mentre ci ero dentro, mi sono chiesto se per caso non fosse malaccio.
Non li ho più sentiti ed è un episodio divertente da raccontare alle cene, ma apre il sipario su una realtà disturbante. Mentre Scientology sembra oggi una specie di colosso decaduto, i frutti nati dal suo albero hanno forse creato un fenomeno ancora più pericoloso, la scientologizzazione del lavoro.
Sottili violenze psicologiche, manipolazione, minacce suggerite e l’insinuazione di un certo tipo di insana fedeltà: esistono contesti lavorativi in cui tutto questo sta prendendo piede in silenzio, determinando e dominando la vita di migliaia di persone.
Quel pomeriggio sono rimasto scosso nell’osservare l’energia nociva e la grande capacità di persuasione che sprigionano quelle dinamiche. Era una farsa talmente ben costruita che in qualche modo queste persone mi davano l’idea di conoscermi, soprattutto di conoscere qualcosa di me che io stesso non avevo mai messo a fuoco.
Come minimo dopo questo articolo mi aspetto qualche telefonata muta. Vi farò sapere.