La notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca ha suscitato reazioni indignate. Ma al di là dei populismi politici e delle strumentalizzazioni analizziamo la situazione nel modo più oggettivo possibile. Capendo ciò che è successo (e ciò che succederà) al killer di mafia pentito e ciò che potrebbe succedere presto ad altri che pentiti non sono assolutamente.
Le legge che ha fatto uscire Brusca
In Italia la prima legge sui pentiti è stata voluta nel 1980 da Francesco Cossiga per combattere il terrorismo. In seguito si cominciò a pensare a un provvedimento analogo anche per la lotta alla mafia. Venne così varato il decreto legge numero 8 del 15 gennaio 1991, poi convertito dalla legge numero 82 del 15 marzo 1991 (quando si parla di provvedimento voluto da Giovanni Falcone ci si riferisce a questo). Nel 2001 ci sono state delle modifiche, poi più nulla. La legge concede ai collaboratori di giustizia protezione, assegno di mantenimento e sconti di pena. Brusca è stato condannato a 30 anni, la pena massima per un pentito, ed è stato scarcerato dopo 25 anni di pena effettiva perché ha beneficiato di 5 anni di liberazione anticipata, previsti dall’ordinamento penitenziario e applicabili a tutti i detenuti che abbiano un comportamento tranquillo all’interno delle carceri. Quanto alla giustificazione politica della scarcerazione, per Peter Gomez del Fatto “Brusca è libero perché ha fatto scoprire centinaia di delitti e soprattutto ha fatto condannare o arrestare altre centinaia di assassini come lui, che senza le sue parole (e quelle dei suoi colleghi collaboratori di giustizia) sarebbero ancora liberi di sparare, uccidere, chiedere il pizzo, trafficare droga”.
Altra voce fuori dal coro degli indignati è quella dell’ex procuratore capo di Palermo Pietro Grasso, secondo il quale «con Brusca lo Stato ha vinto tre volte. La prima quando lo ha arrestato, perché era e resta uno dei peggiori criminali della nostra storia. La seconda quando lo ha convinto a collaborare: le sue dichiarazioni hanno reso possibili processi e condanne e hanno fatto emergere pezzi di verità fondamentali sugli anni in cui Cosa nostra ha attaccato frontalmente lo Stato. La terza quando ne ha disposto la liberazione dopo 25 anni di carcere, rispettando l'impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai».
Ora Brusca è davvero libero?
No, almeno non da subito. Adesso c’è un periodo di libertà vigilata, con obbligo di firma settimanale, orari controllati e pernottamento fisso. L’ex killer di Cosa Nostra, l’assassino che avrebbe fatto esplodere la bomba di Capaci e avrebbe dato l’ordine di strangolare Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito che lo accusò della strage), ha chiuso i conti con la giustizia ma mantiene il proprio legame con lo Stato, che tramite gli “angeli custodi” del Servizio centrale di protezione continuerà a vigilare sulla sua sicurezza. La prima tappa è la scelta di un luogo dove vivere che offra sufficienti garanzie: “Un’abitazione – spiega Giovanni Bianconi del Corriere – ma anche un contesto in cui possa mimetizzarsi, senza destare sospetti e curiosità che possano svelarne la vera identità. E poi si cercherà di trovargli un lavoro, in modo da integrare lo «stipendio» previsto dal programma di protezione. Dettagli tecnici e operativi da definire in fretta, per i tempi anticipati del «fine pena». Fa tutto parte del contratto che il pentito ha sottoscritto con le istituzioni, il patto che lo Stato ha siglato per ottenere la collaborazione di uno dei killer più fidati della mafia corleonese, ma divenuto uno dei pentiti-simbolo dell’antimafia; forse il più importante e significativo della nuova era, dopo la stagione dei Buscetta, Contorno e Marino Mannoia. Anche per questo Brusca continua a essere un obiettivo di Cosa Nostra, o di quello che ne resta. Lui è il primo a saperlo, e il primo a essere consapevole che dovrà guardarsi dalle vendette; il conto con lo Stato è chiuso, quello con la mafia no. E non lo sarà mai”.
Dopo Brusca usciranno altri boss?
Alcuni pentiti forse di minor peso ma comunque legati alla strage di Capaci sono già usciti. Ora si teme che possano uscire anche degli ergastolani non pentiti: “A breve – ha detto il presidente della commissione antimafia Nicola Morra – verranno scarcerati anche i fratelli Graviano, entrambi con meno di 60 anni”. Giuseppe e Filippo Graviano sono consideranti mandanti delle stradi gel 1992 e del 1993 e dell’uccisione di don Pino Puglisi.
Al riguardo Gomez sottolinea che “nell’aprile del 2020, nella sua ultima relazione da presidente della Corte costituzionale, la neoministra Cartabia ha dedicato un’intera pagina del suo intervento a una sentenza della Consulta (definita «di particolare rilievo») che ha dichiarato illegittimo il divieto di concedere permessi premio agli ergastolani condannati per mafia o terrorismo che non si fossero pentiti. A quella sentenza quest’anno ne è seguita un’altra. Che invita il Parlamento ad approvare entro 12 mesi una legge che stabilisca in quali casi un mafioso non pentito condannato all’ergastolo (per esempio i boss stragisti Bagarella, Santapaola e Graviano) possa accedere alla libertà vigilata dopo 26 anni di carcere. Bene, scarcerare dopo un quarto di secolo un pluriassassino che ha collaborato fa schifo. Mettere fuori chi non ha detto una parola fa un milione di volte schifo. Anche perché significa la resa dello Stato. Visto che sarà il ministero retto da Cartabia a doversi occupare della legge richiesta dalla Corte costituzionale, la ministra vuole dirci esplicitamente come pensa che vada scritta? Si attende cortese risposta”.
Per Marco Travaglio, “in un Paese serio, anziché di Brusca, tutti si preoccuperebbero delle sentenze della Cedu e della Consulta contro l’ergastolo «ostativo» (che poi è l’ergastolo vero, ma nel Paese della giustizia finta occorre specificare), che stanno per liberare non i mafiosi che hanno parlato, ma quelli che stanno zitti. I quali non avranno più alcun motivo per parlare”.
L’ergastolo ostativo, previsto sulla base della legge numero 356 del 1992, esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà) gli autori di reati particolarmente gravi come quelli legati alle attività della criminalità organizzata. Nel 2019 però la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’ergastolo ostativo con riferimento anche ai condannati per delitti di mafia. Cosa che potrebbe esporre al “liberi tutti”.
Cosa potrebbe (o avrebbe potuto) fare la politica anziché indignarsi?
Oltre al già citato e cruciale nodo dell’ergastolo ostativo, c’è chi ipotizza altri interventi.
“Se la legge che libera Brusca e tutti gli altri mafiosi non vi piace, se la ritenete sbagliata, dovevate e dovete – le parole rivolte da Maurizio Belpietro della Verità ai politici – semplicemente cambiarla. Troppo comodo dichiarare che il sistema non ha funzionato e che un assassino del calibro di Brusca non dovrebbe tornare a piede libero. Questo lo possono sostenere i commentatori, ma voi cari onorevoli siete pagati per governare e non per commentare. Se del caso, anche con provvedimenti d’urgenza. Ho una certa età e nonostante gli anni godo di una discreta memoria. Dunque, ricordo quando il tribunale militare giudicò Erich Priebke, uno dei nazisti che eseguirono le sentenze di morte alle fosse Ardeatine. Per quella strage fu estradato e processato e quando i giudici lo prosciolsero, per contenere l’onda dell’indignazione popolare intervenne il ministro della Giustizia, nella persona di Giovanni Maria Flick, il quale evitò la scarcerazione dell’ex ufficiale tedesco, facendo in modo che un nuovo processo lo condannasse all’ergastolo, che scontò agli arresti domiciliari fino all’ultimo dei suoi giorni. Non sto appaiando la storia di Priebke a quella di Brusca, né l’eccidio nazista a quelli mafiosi. Ma quando la politica vuole, le soluzioni per scavalcare la legge le sa trovare. Se Brusca è libero e […] altri criminali si apprestano a essere scarcerati, la colpa non è della legge, ma della politica, che sa solo stupirsi il giorno dopo e non sa mai fare nulla il giorno prima”.
Per Travaglio, di avviso opposto, si potrebbero invece imitare gli Usa: “I garantisti alla vaccinara si sono inventati un nuovo mantra: «Brusca non ha detto tutto». Possibile. Ma che hanno in mente per fargli dire tutto: la tortura? Un modo civile ci sarebbe: imitare gli Usa. Lì, se un criminale collabora, non ottiene sconti di pena: non viene proprio processato. E può parlare quando gli pare. Invece noi, furbi, grazie a una legge criminogena del 2000 voluta dal centrosinistra, diamo ai pentiti sei mesi per dire tutto. Se si ricordano qualcosa dopo, non vale. Il che rende ridicola l’accusa a Brusca di «non aver detto tutto»: anche se avesse altro da dire, essendo i suoi sei mesi scaduti da 24 anni e mezzo, non potrebbe più dirlo. E, se lo dicesse dimostrerebbe di non aver detto tutto e rischierebbe di perdere i benefici e tornare dentro. Qualcuno vuole che dica il resto? Cancelli la regola dei sei mesi. Poi però il rischio è che Brusca abbia davvero altro da dire. E lo dica. Per esempio sui mandanti esterni delle stragi, sulla trattativa Stato-mafia (che svelò un anno prima che la confermassero Mori e De Donno), sul ruolo di B. e Dell’Utri che l’ha visto sempre reticente. Perché un mafioso pentito, soprattutto all’inizio, non dice tutto? Per due motivi: il desiderio di proteggere i suoi amici o parenti; e il timore di inimicarsi qualche rappresentante dello Stato che lo protegge e firma con lui il contratto di collaborazione”.