20 maggio 1996, ore 21.30. Mancano tre giorni al quarto anniversario della strage di Capaci. L'Italia chiede risposte, adesso più che mai, a pochi mesi dall'omicidio di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido dopo 25 mesi di prigionia.
Una risposta, almeno una, porta il nome di Giovanni Brusca, boss mafioso superlatitante ritenuto responsabile di un centinaio di omicidi di stampo mafioso e, fisicamente, mano che azionò il telecomando della strage di Capaci. Catturare Brusca è troppo importante: lo è per l'opinione pubblica, per il messaggio che significherebbe, per il lavoro senza sosta della Questura di Palermo, per Renato Cortese, l'investigatore che quel 20 maggio ascolta, pazientemente, le intercettazioni telefoniche di Brusca.
U verru, il maiale, sta parlando al telefono, nascosto in una villetta che sembra disabitata, a Cannatello, una borgata semi deserta in provincia di Agrigento. Con lui c'è anche il fratello Enzo, anche lui ricercato, insieme alle rispettive mogli e ai tre bambini.
Si cercano prove. L'operazione è condotta dagli uomini della Mobile palermitana guidati dal commissario Luigi Savina. Tra le menti fondamentali anche Alfonso Sabella, Pubblico Ministero nella procura di Palermo nel pool antimafia. La sua storia, raccontata nella fiction Rai Il cacciatore, racconta anche questa storia. Questo 20 maggio 1996.
Perché serve un segno che dica che sì, Brusca si trova proprio in quella villetta con le serrande abbassate.
E quel segno arriva dalla strada. E' una moto smarmittata che a tutta velocità percorre le strade di Cannatello, proprio alle 21:30, proprio quando Brusca sta parlando al telefono. Si tratta di uno stratagemma ideato dal pool antimafia, con un poliziotto in borghese alla guida della moto. Il rumore assordante di quel tubo di scappamento senza silenziatore costringe il boss a fermare la conversazione per qualche secondo, e gli inquirenti sentono quello che sente anche la mobile, sul posto. Il poliziotto accellera rumorosamente per tre volte, davanti ai cancelli delle villette, ed è tutto quello che serve sentire.
Quella è la prova che aspettavano: Brusca è dentro la villetta, il rumore non può provenire che da quella moto. Una volta entrati nella casa u verru non può fare nulla: come ultimo gesto di stizza e sdegno getta il telefono, intercettato, dalla finestra.
Finisce per strada, dove poco prima quella moto troppo rumorosa lo aveva incastrato. La sua latitanza si conclude quel giorno. Da lì il processo, il carcere, il pentimento, la collaborazione con la giustizia e, oggi, una nuova libertà.